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IL GAIGO

Forse non lo sapevate, ma la nostra terra, la Liguria, molto spesso si rende protagonista di un peculiare fenomeno atmosferico che, per natura e origine, potremmo senza troppi indugi definire come l’esatto opposto dell’ormai ben nota maccaja, il gaigo.

Con questo termine gli addetti ai lavori sono soliti riferirsi al banco di nubi basse che con una certa frequenza, soprattutto durante il semestre freddo,  viene letteralmente  ad adagiarsi, come fosse un lenzuolo, sulle dorsali appenniniche centro-occidentali della regione. Ci riferiamo, da ponente a levante, ai bacini idrografici della val Bormida (SV), della valle dell’Erro (SV), della val d’Orba (SV), della valle Stura (GE) e della valle Scrivia (GE) e della val Trebbia (GE).

Ma cosa innesca l’insorgenza di queste nubi? E perché interessano solo determinate aree geografiche?

Abbiamo esordito definendo il gaigo come fenomeno opposto alla maccaja. Ebbene, noi sappiamo che la maccaja trova la propria ragion d’essere nel sovrascorrimento sul  mar Tirreno di masse d’aria più o meno tiepide, veicolate da profondi flussi sciroccali; ma, se parliamo della genesi del gaigo, il riferimento cardine non può rinvenirsi né nel mar Tirreno, né tantomeno nel vento di Scirocco (sud), bensì nella Pianura Padana e nel vento settentrionale (Tramontana/Grecale).

Viene allora spontaneo chiedersi, trattandosi di nubi, da dove la Tramontana od il Grecale peschino l’umidità necessaria. A tal proposito ci giungono in soccorso i LAM, i modelli su scala locale utilizzati in sede previsionale.

L’ immagine qui sopra, elaborata dal Consorzio Lamma Toscana, mostra la direzione del vento al livello del suolo. Osservandola attentamente, balza immediatamente all’occhio il fatto come la direttrice dominante delle correnti in Pianura Padana sia orientale. 

Ma cosa è presente ad est?

Ecco la chiave di lettura del meccanismo di genesi del Gaigo. L’unico serbatoio di umidità da cui le correnti nei bassi strati atmosferici possono attingere risulta essere il mar Adriatico.

Ma se proseguiamo nell’osservazione dell’immagine, notiamo come la direttrice delle correnti cambi drasticamente proprio lungo la fascia pedemontana compresa tra il cuneese ed il basso piacentino/parmense, immediatamente a settentrione dei bacini idrografici sopraccitati. Qui, le correnti in questione, imbattendosi nel complesso impedimento orografico dato dalla presenza della catena alpina, si vedono costrette a deviare verso meridione, andando ad impattare contro la dorsale appenninica ligure.

A questo punto viene in gioco un altro fenomeno atmosferico, l’effetto “Stau”. Dette correnti (già apprezzabilmente cariche di umidità), vincolate a seguire l’andamento morfologico del terreno (i rilievi appenninici), si sollevano, si raffreddano e, una volta raggiunta la quota altimetrica di condensazione [ur (umidità relativa) = 100%] danno origine a nubi.

A fare il resto ci pensa il vento settentrionale, sospingendo queste nubi, il neonato gaigo, verso la dorsale di spartiacque principale, affacciato direttamente sui bacini marittimi della nostra regione, e talvolta, addirittura, fin sulla linea di costa (mi riferisco, soprattutto, al tratto rivierasco tra il savonese di levante ed il genovese di ponente).

L’effetto meteo-visivo sarà doppio perché doppio è il punto di vista: per lo spettatore del versante padano appenninico si tratterà di un cielo molto nuvoloso, coperto, fino a giungere addirittura ad un contesto di fitta nebbia e pioviggine/nevischio (in base al profilo termico). Allo spettatore del pressochè sereno versante marittimo invece, con lo sguardo rivolto verso nord, il fenomeno apparirà come un lenzuolo, o un “cappuccio” di nubi adagiato sulle spigolose creste montuose (vedasi immagine di testata).

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Ecco un esempio di gaigo sul versante padano dell’Appennino. Ci troviamo a Masone S.Pietro (GE), in alta valle Stura.