Di recente, sulla nota rivista “Atmosphere” sono stati pubblicati i risultati di una ricerca condotta da un team internazionale e coordinata dall’Istituto di scienze polari del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), che spiega sostanzialmente come i piccoli ghiacciai incastonati sulle Alpi Giulie non stiano andando gradualmente a scomparire, come – a causa del riscaldamento globale – sta avvenendo sul resto della cordigliera alpina, ma anzi, da circa 15 anni a questa parte, si stiano mostrando particolarmente resilienti e stabili.
Le misure dei bilanci di massa di tutti i corpi glaciali presenti sull’estremo settore orientale delle Alpi, effettuate dal 2006 al 2018, hanno infatti portato ad un bilancio complessivo leggermente positivo, in assoluta controtendenza rispetto a ciò che si è potuto rilevare nel medesimo periodo su tutti gli altri ghiacciai alpini.
Dietro alla cd. ”anomalia giuliana” gli studiosi avrebbero individuato due possibili concause: il maggiore riscaldamento dell’Artico e l’aumento della temperatura della superficie del mar Adriatico.
In sede artica il riscaldamento sta procedendo ad un ritmo molto più serrato rispetto alle medie latitudini: ciò sta portando ad una drastica riduzione del ghiaccio marino, fattore, questo, che contribuisce ad amplificare ulteriormente gli effetti del riscaldamento (cd. “Amplificazione artica”), determinando una mutazione della circolazione atmosferica nell’emisfero settentrionale.
I flussi atmosferici, che si manifestano attraverso le cosiddette “onde planetarie” (o “onde di Rossby”), tendono via via a cambiare il loro normale moto zonale (da ovest verso est) ed a svilupparsi meridianalmente (da sud verso nord e da nord verso sud), facilitando così l’instaurazione di blocchi circolatori, ossia quelle configurazioni che fanno da sfondo a condizioni meteorologiche più o meno persistenti in una determinata area geografica.
Gli studi degli ultimi anni hanno evidenziato quanto queste modifiche circolatorie stiano impattando sulla meteorologia dell’Europa e del Mediterraneo. A livello locale, l’aumento della temperatura superficiale del mar Adriatico, di fatto, sta determinando un sempre maggior accumulo di energia potenziale che, una volta solleticata, determina fenomeni precipitativi particolarmente intensi e persistenti sulle aree montuose direttamente esposte.
L’inverno appena trascorso è stato solo l’ultimo di una (sempre più) lunga serie di inverni caratterizzati da copiose e frequenti nevicate sulle Alpi centro-orientali, dove gli accumuli finali hanno talvolta raggiunto i 10 metri a 1800 m di quota. Un tale strato di neve depositato al suolo, in particolare in aree come le Alpi Giulie, dove già la pluviometria/nivometria è tra le più elevate di tutta Europa, è così in grado di bilanciare l’aumentata fusione estiva dei ghiacci, dovuta ad estati sempre più lunghe e sempre più calde a causa del riscaldamento globale.
Crediti: “Recent Increases in Winter Snowfall Provide Resilience to Very Small Glaciers in the Julian Alps, Europe”, CNR – Istituto di Scienze Polari.