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LA BUFALA DEL RECORD DI NEVOSITÀ DI CAPRACOTTA

Il pezzo sulla nevosità della East Coast e il “Lake Effect Snow” (➡️ https://www.centrometeoligure.com/il-lake-effect-snow-nord-americano/) ha fatto risorgere la questione del record italiano di Capracotta (IS).

Senza la pretesa di voler convincere nessuno, ci pare opportuno chiarire la questione una volta per tutte. E non ce ne vogliano gli affezionati amici del centro-sud italico e in generale i più fervidi patriottisti. Sarebbe piaciuto anche a noi che un primato del genere avesse trovato culla nella nostra bella Italia.
Ma – permetteteci questa storpiatura – “dura scientia, sed scientia”.

Per quanto spettacolare fu la nevicata che investì l’Appennino centro-meridionale tra il 5 e il 6 marzo 2015, non ci fu alcun record mondiale e nemmeno ci si avvicinò.

Con tutta probabilità cadde meno della metà della neve millantata, come poi anche affermato dall’autorevole portale Nimbus (Sito ufficiale della SMI – Società Meteorologica Italiana): i valori ufficiali forniti dal Servizio Meteomont indicano, più verosmilimente, apporti di circa 1 metro di neve fresca in 36 ore.

Nemmeno la comunità scientifica internazionale ha mai riconosciuto il dato di Capracotta, in quanto frutto di misurazioni non eseguite nelle condizioni standard rigorosamente definite dalle linee guida internazionali, che permettono di rilevare il solo apporto della precipitazione, e non quello della neve accumulata dal vento o dall’azione dell’uomo.

La cosa triste è che questa fake news, partita dai media locali, diventò ben presto virale, finendo per essere pubblicata anche su testate giornalistiche meteorologiche di un certo spessore a livello europeo, creando così un grave e dannoso caso di disinformazione scientifica.

Per il NOAA e la maggiorparte della comunità scientifica il record mondiale omologato di nevosità continua ad appartenere a Silver Lake (Colorado), dove il 14-15 Aprile del 1921 caddero 192 cm di neve in un solo giorno.
Abbiamo detto “la maggiorparte” perché esiste un dibattito, interno allo stesso NOAA, tra l’NCEC (National Climate Extremes Committee), che sostiene il dato di Silver Lake, e lo SCEC (State Climate Extremes Committee), secondo cui il record apparterrebbe, invece, a Mile 47 Camp, in Alaska, con 198 cm caduti il 7 febbraio 1963. Su questo secondo evento, tuttavia, rimangono ancora molteplici dubbi. Dubbi che nemmeno alcuni recenti studi, tra cui quello del climatologo Brian Brettschneider, sono riusciti a fugare.
Pertanto, ad oggi, il dato di Silver Lake rimane il record più comunemente riconosciuto dalla comunità scientifica.

Ciò detto, sottolineiamo che non è assolutamente nostra intenzione sminuire la nevosità dell’Appennino centrale (molisano-abruzzese in primis). È indubbio il fatto che tali zone detengano uno dei potenziali maggiori a livello nazionale.
Ma quando si tratta di scienza è opportuno mettere i puntini sulle I.

E ad essere pignoli fino in fondo, i 300 cm (circa) di media annua ai 1421 m di Capracotta, pur costituendo un dato ragguardevole, non sono un primato in Italia, in relazione alla quota altimetrica.
Esistono località alpine capaci di sfornare numeri ben più eclatanti. Si prenda il cuneese meridionale (dalla valle Stura fino ad arrivare alle valli monregalesi, passando per le valli Gesso, Vermenagna e Pesio): gli archivi di Arpa Piemonte sono oggi in grado di documentare come, in queste zone, al di sotto dei 1500 metri, il quantitativo di fresca annua, localmente, si approssimi o addirittura superi i 400 cm (vedasi vecchia staz. Limonetto, 1300 metri – Limone Piemonte).
Ma casi del genere sono rinvenibili anche altrove; in val Formazza (VCO), per esempio, nel cuore delle Alpi Lepontine.

Metodo e rigore nella scienza sono fondamentali. Lasciarsi andare a facili campanilismi, in questo campo, significa infliggere a noi stessi una triste sconfitta.