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Associazione Culturale Ligure di Meteorologia

Forza di gradiente

Forse non è scontato, ovvio per tutti ma anche l’impalpabile gas aria è soggetto a delle forze, quelle forze che del resto rendono l’atmosfera un involucro della terra estremamente dinamico, sempre in moto continuo.

A questo gioco alla fune partecipano non solo la forza di gravità con cui la terra mantiene a sé la nostra preziosa aria ma anche altri tipi di forza meno conosciuti come gli attriti, la forza di Coriolis e quella di gradiente.

Lasciando ad altre voci del glossario l’approfondimento delle prime forze citate, vogliamo qui chiarire cosa si intende per forza di gradiente o, forse più correttamente, “forza di gradiente della pressione”.

Gradiente innanzitutto: è in realtà un termine non specifico della meteorologia ma coniato dai matematici e che viene tirato in causa in svariati ambiti e quindi anche dai meteorologi quando si sta trattando una grandezza che varia, cambia di valore nello spazio.

Nel nostro caso specifico questa grandezza è la pressione esercitata su ogni punto dell’atmosfera dal peso della colonna d’aria sovrastante.

La pressione atmosferica non solo diminuisce con la quota ma varia anche al suolo o più in generale lungo un qualsiasi piano orizzontale e in questo quadro si inserisce la forza di gradiente che “spinge” l’aria dai punti in cui la pressione è maggiore a quelli in cui è minore.

Il gradiente di pressione ci fornisce una indicazione quantitativa di quanto velocemente vari la pressione e quindi in ultima analisi di quanto intensa sia questa spinta verso i luoghi dove la pressione è più bassa.

Naturalmente a forti sbalzi di pressione corrispondono spinte più decise e quindi movimenti d’aria, alias venti, più intensi.

Possiamo quindi concludere che i venti sospingono l’aria dalle alte alle basse pressioni e sono tanto più intensi quanto maggiore è il salto di pressione che incontrano nel loro cammino ? Non proprio, non è così semplice, infatti bisogna tener conto degli altri partner nel suddetto tiro alla fune, in primis della forza di Coriolis, e nel tira e molla che ne consegue risulta in realtà che i venti tendono a muoversi, soprattutto sui mari, lungo traiettorie non molto dissimili dalle linee di uguale pressione, le cosiddette “isobare”.

A tutto ciò si aggiungono l’effetto degli attriti con il suolo e l’orografia, la posizione di valli e montagne.

Ne consegue che sulla terraferma i venti hanno direzioni molto meno regolari e che a forti gradienti di pressione (individuabili sulle mappe da aree con le isobare molto fitte, vicine tra di loro) non necessariamente si legano dei venti particolarmente intensi.

Un esempio per tutti: quando dell’aria viene sospinta verso una catena montuosa non è detto che riesca a scavalcarla ma potrebbe anche solo aggirarla; in ogni caso però se si analizza la pressione un suo massimo è presente sul lato sopravvento della catena (quello dove va accumulandosi l’aria), un minimo su quello sottovento.

Il salto di pressione, e quindi il suo gradiente, è marcato tra i due versanti delle montagne ma se l’aria in arrivo non è abbastanza energica per scavalcare i rilievi, i venti risultano deboli. Nel caso in cui avviene lo scavalcamento i venti di discesa sul lato sottovento risultano invece anche forti e sono diretti trasversalmente alle isobare.

Morale della favola: un esame solo superficiale di una mappa con l’andamento della pressione al suolo, senza una conoscenza approfondita della morfologia del territorio, spesso può portare a conclusioni errate sulla direzione ed intensità dei venti.

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