L’intensità del vento al suolo è il risultato dell’azione combinata di diversi fattori.
Entrano in gioco infatti variazioni molto rapide indotte dall’attrito con il suolo, ma anche variazioni più persistenti, legate alle differenze di pressione su vaste aree in corrispondenza del moto di cicloni ed anticicloni.
Agiscono inoltre anche le circolazioni di brezza.
Nel caso poi di moti convettivi o di venti forti, diventa importante l’effetto di rimescolamento degli strati superiori, in cui l’aria si muove più velocemente, con i bassi strati dell’atmosfera.
Se per semplicità consideriamo il caso di cielo sereno o poco nuvoloso e ipotizziamo variazioni modeste della pressione atmosferica al suolo (cioè variazioni inferiori a 1 hPa ogni 3 ore), l’intensità del vento sulla terraferma, lontano dal mare e dai rilievi, segue un tipico andamento diurno molto simile a quello della temperatura, con un massimo nel primo pomeriggio ed un minimo all’alba.
In prossimità di coste o di catene montuose si ha in aggiunta un altro massimo secondario nelle tarde ore notturne.
Il massimo diurno è determinato in parte dalle circolazioni locali di brezza ed in parte dal trascinamento al suolo dei venti più intensi degli strati superiori per azione delle correnti discendenti dei moti convettivi.
Il massimo secondario notturno è invece rilevabile solo nelle località dove agisce la brezza notturna, cioè appunto quelle sulle coste o in zone pedemontane.
Il vento raggiunge in genere la minima intensità all’alba, quando il rafforzamento delle inversioni termiche da irraggiamento notturno ostacola sia le brezze che il rimescolamento con gli strati superiori.
Durante l’inverno poi le brezze ed i moti convettivi risultano poco attivi sulla terraferma, di conseguenza i massimi diurni sono appena pronunciati.