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Analisi climatiche: Istruzioni per l’uso

Cominciamo dalla prima: verificare le fonti – diffidate di quegli articoli che non provengano da riviste specializzate che sovente si pongono quale obiettivo ultimo quello di attirare la vostra attenzione.

Proseguiamo. Nella maniera più assoluta evitate i titoloni catastrofici soprattutto quelli che vi preannunciano eventi storici, imminenti glaciazioni, effetti dirompenti del minimo solare.

Non fermatevi mai alle apparenze: una lettura sommaria o limitata alle prime righe può confondere le idee e dare un’impressione distorta del pezzo che state leggendo; non tutti i titoli “forti” nascondono delle vere e proprie bufale ma talvolta i “ se”, i “ma”, i “forse” e i verbi al condizionale stanno all’interno del testo e vi accorgerete che ci sono più aspetti da valutare prima di arrivare alle affrettate conclusioni verso le quali vi indurrebbe il titolo.

Passiamo ora alle analisi su base teleconnettiva ovvero quelle che si basano sull’osservazione di forzanti naturali in grado di incidere a larga scala non solo sul clima in senso ampio ma anche sull’andamento della condizione atmosferica e quindi, in maniera più o meno indiretta sulle condizioni del tempo.
Sono accompagnate dall’utilizzo di acronimi piuttosto ricorrenti (ENSO, MJO, AO, NAO, EA, PDO, AMO, ecc) che descrivono uno stato dell’atmosfera (spesso associato agli oceani) che risente dell’effetto del comportamento degli stessi. Effetti che possono essere diretti (si pensi all’influenza di El Nino sulle coste dell’America latina) ovvero trasmessi in “remoto” tramite l’atmosfera (i venti, le precipitazioni, le correnti di alta quota) o le correnti oceaniche.
Ebbene a proposito di queste occorre preliminarmente ricordare che le teleconnessioni nel loro complesso sono uno strumento utile per la verifica di condizioni avute nel passato. La loro importanza, nel campo delle analisi, nasce dalla ricorrenza da parte della circolazione atmosferica in condizioni analoghe o per lo meno simili.
La statistica quindi viene affiancata inevitabilmente a questi segnali naturali che sono una guida per comprendere il comportamento della circolazione atmosferica e anche del clima in presenza di determinate componenti.

La complessità di queste analisi nasce inoltre dagli effetti combinati degli elementi forzanti presi in considerazione che possono modulare il segnale trasmesso alla circolazione atmosferica in combinazione tra loro imponendo effetti non omogenei.
Alcune di queste forzanti presentano poi una influenza maggiore sul trend climatico (ovvero danno un “imprinting” alla circolazione di più lunga durata). Sono generalmente le forzanti oceaniche a bassa frequenza (ovvero che oscillano tra segni opposti +/- con frequenza decadale o più) quali l’AMO (Atlantic Multidecadal Oscillation) che rileva lo stato delle temperature superficiali dell’oceano Atlantico e la PDO (Pacific Decadal Oscillation) che opera similmente sul Pacifico grazie ad un dipolo opposto di temperature oceaniche tra i meridiani centrali del Pacifico settentrionale e le coste occidentali dell’America del Nord.

 

Ultimamente un articolo piuttosto interessante, rispetto ai molti di stampo allarmistico più volte ripresentati nei periodi in cui c’è poco altro da dire per attirare l’attenzione comune, è stato pubblicato sulla rivista Nature: Current Atlantic Meridional Overturning Circulation weakest in last millennium.
L’articolo presenta un’analisi molto interessante riguardante il comportamento dell’AMOC (Atlantic Meridional Overturning Circulation) di cui la cd. “corrente del Golfo” è una parte.
Gli studiosi che hanno redatto il paper sono arrivati alla conclusione di ipotizzare condizioni di rallentamento mai viste nel corso della ricostruzione storica che va a ripercorrere circa 1600 anni con conseguenti imminenti impatti sul clima europeo nell’arco di pochi decenni.
Si tratta di un “effetto paradosso” per cui un trend globale verso il riscaldamento possa indurre, a causa della fusione dei ghiacci artici, ad una crisi del meccanismo di trasporto della corrente oceanica improntata ad un equilibrio dipendente dalla componente salina e dalle temperature che la stessa incontra nel suo percorso dalle latitudini tropicali fino a quelle più elevate del nord Atlantico.

Lo studio si basa sulla ricostruzione attraverso i cd. “proxy” ovvero elementi di ricostruzione paleoclimatici (carotaggi nel ghiaccio, sedimentazioni oceaniche, isotopi del carbonio, ecc) utilizzati comunemente in ambito scientifico per la ricostruzione del comportamento del clima nei secoli.
Strumenti assolutamente validabili quanto ad evidenza scientifica ma che lasciano alcune perplessità nel momento in cui ipotizzano tempistiche di avvenimento delle conseguenze prospettate (in questo caso il blocco della corrente con forte raffreddamento del continente europeo).
Si tratta infatti di strumenti troppo “grossolani” per essere utilizzati per misure tanto piccole come può essere la comparazione di un periodo millenario con poche decine di anni. Sarebbe come utilizzare un calendario (strumento di misura indiscutibilmente valido e attuale) per misurare i secondi…..

Quando ci si approccia nella lettura o nel tentativo di analisi di un aspetto del nostro clima occorre quindi pazienza e grande attenzione non solo per evitare le “fake news” ma anche per evitare di incorrere in semplicistiche conclusioni che certamente arricchiscono di click chi le ipotizza ma molto meno chi le legge.