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CAUSE ED EFFETTI DEL RISCALDAMENTO GLOBALE

Gli elementi che costituiscono la variabilità naturale del nostro clima, da sempre esistiti e che hanno permesso l’alternanza di periodi freddi e più miti sulla Terra, oggi sono condizionati da alterazioni, per la maggior parte di origini umane, che hanno generato un trend ovvero un andamento forzato verso l’incremento delle temperature e uno squilibrio energetico molto rapido.

Mentre gli effetti più evidenti del riscaldamento globale sono ravvisabili nelle temperature che tendono ad aumentare ormai dalla fine degli anni ’80 con un ritmo davvero impressionante, quelli più “nascosti” risiedono nella condotta della circolazione atmosferica in quanto vengono ad interagire con fattori interni al nostro sistema.

Si pensi, ad esempio al Nino o alla Nina. (fig. 1) Essi costituiscono la forzante climatica naturale più importante della Terra e stanno alla base rispettivamente di un rilascio maggiore/minore di calore e di energia dagli oceani in atmosfera e di assorbimento minore/maggiore del calore prodotto dal sole ma anche intrappolato all’interno della nostra atmosfera.

Questo meccanismo di regolazione caldo/freddo presenta oggi, unitamente ad altre componenti, a causa dell’incremento dei gas ad effetto serra (GHG), un disequilibrio energetico di circa +1,80W/m2. Solo che vent’anni fa il disequilibrio positivo era all’incirca di +0.5W/m2. (fig. 2)

Questo dato rappresenta quanta energia solare rimane intrappolata in più sulla terra rispetto quanto ne viene emessa nello spazio.

In realtà l’obiettivo di questo articolo non è propriamente quello di fornire dati, alcuni dei quali già diffusi (come i record nei valori di CO2 o di metano che si continuano a raggiungere e superare) (fig. 3)  o di parlare degli effetti paradosso che, a livello locale, hanno prodotto le campagne contro l’eliminazione di sostanze inquinanti quali gli aerosol antropogenici, in grado al contrario di schermare il riscaldamento oggi raggiunto in molte aree del nostro emisfero, ma di ricordare che calore è uguale ad energia che impatta non solo sulle colonnine di mercurio ma anche sul comportamento della circolazione atmosferica.

Tali effetti si traducono principalmente in una Cella di Hadley (quella più calda che nasce dall’equatore) più debole ed espansa verso nord a motivo di un diminuito gradiente termico tra le regioni tropico/equatoriali e quelle delle medie latitudini. (fig. 4)

Il maggior calore infatti che si dirama dalle aree più calde percorre strade verso latitudini più elevate sia attraverso la circolazione atmosferica sia attraverso le correnti oceaniche, importanti vettori di trasporto.

Diversi studi hanno affrontato questo aspetto legato alla modifica della circolazione constatando una tendenza da parte della corrente a getto (il motore che muove i sistemi perturbatori e le figure bariche da ovest verso est) ad indebolirsi in modo importante proprio alle medie latitudini.

E’come se le correnti zonali, “affogate” in una quantità più elevata di calore ma anche di umidità, si fossero indebolite e frammentate proprio alle medie latitudini e spostate in parte verso nord e in parte vicino alla zona equatoriale, lasciando in una sorta di terra di nessuno le aree subtropicali fino alle latitudini subpolari. Qui la variabilità e il clima mite caratteristici di aree che si trovano ad est rispetto all’oceano, come l’Europa centro meridionale rispetto all’oceano Atlantico, è venuta in parte meno proprio per la minor frequenza dei venti oceanici e tenderà sempre maggiormente, in base a quanto emerge da recenti studi, ad esaltare un tipo di clima più estremo nel quale si alternano sempre più fasi di caldo inusuale a fasi più fredde (meno frequentemente), fasi in cui piove troppo ad altre in cui la siccità meteorologica la fa da padrone.

In tal senso e in un ambito più tecnico sempre questi studi hanno studiato e verificato una diversa condotta delle RWB (Rossby wave breaking) ovvero del trend ondulatorio (da parte delle onde lunghe) direttamente correlato alla corrente a getto. (fig. 5)

Queste tesi hanno riscontrato una sempre maggiore tendenza alla formazione di CWB (Cyclonic Wave Breaking) rispetto alle AWB (Anticyclonic Wave Breaking) (fig. 6) ovvero all’isolamento e alla rottura di depressioni alle medie latitudini con segmenti della corrente a getto che puntano verso l’equatore.

Queste depressioni tendono sempre più ad isolarsi dal getto portante e ad arricchirsi di energia grazie alla maggior presenza di calore e di umidità negli oceani.

La caratteristica instabilità baroclina (fig. 7)

delle medie latitudini oceaniche ove l’aria fredda insegue quella calda con uno sfasamento dei minimi depressionari tra suolo e quota a cavallo di una corrente di quota rapida e tesa da ovest verso est, lascia il posto ad una sempre maggiore barotropicità (fig. 8) nella quale emerge una maggiore stazionarietà e persistenza delle figure bariche e ove i minimi depressionari tendono a coincidere al suolo rispetto alla quota in una sorta di incipit di tropicalizzazione delle figure bariche con tutti gli effetti che ne conseguono.

Il connotato caratteristico di una rottura d’onda ciclonica è quello di vincere completamente la componente zonale di trasporto impedendo alla cresta anticiclonica di evolvere verso latitudini più elevate e di trasferirsi anche verso quote più alte dalla troposfera fino in stratosfera.

Questo rende anche più difficili e meno frequenti le migrazioni di aria fredda dalle latitudini polari verso sud dal momento che queste irruzioni richiedono la struttura di possenti onde anticicloniche che puntano verso nord e forzano la circolazione zonale ovvero le AWB. (fig. 9)

A ragione di questo oggi si assiste ad inverni sempre più anonimi su gran parte dell’Europa centrale e meridionale ove questo fenomeno è ancora più evidente.

Questo comportamento è inserito nel trend a bassa frequenza del riscaldamento globale che procede a ritmi molto elevati confortando anche con i dati sensazioni di chi sente oggi un clima diverso solo che rispetto a vent’anni fa.