Ablazione | Insieme combinato dei processi di sublimazione, fusione , ed evaporazione, compresa l’azione del vento, che determinano una riduzione della massa della neve. Il fattore determinante che controlla il fenomeno è la temperatura, mentre le precipitazioni esercitano un’influenza secondaria. |
accumuli | |
Accumulo | Quantità di neve o di acqua allo stato solido in qualsiasi altra forma, che si aggiunge al manto nevoso attraverso il processo di alimentazione dovuto alle precipitazioni ed all’azione del vento. Quando questa è preponderante, l’accumulo risulta spesso irregolare per spessore e distribuzione. |
Adiabatica | Tra le parole ‘difficili’ che si incontrano leggendo un manuale di meteorologia vi è sicuramente l’aggettivo ‘adiabatico’, anche se il termine descrive un concetto abbastanza semplice. Le trasformazioni adiabatiche, nel linguaggio della termodinamica, sono quelle durante le quali ‘il sistema’ non scambia calore con l’esterno, l’energia termica, non viene, cioè, né ceduta, né assorbita. Se seguiamo lo spostamento di una massa d’aria troveremo che molto spesso nei moti atmosferici questa condizione viene soddisfatta, almeno con un sufficiente grado di approssimazione. L’aria secca, infatti, risulta essere quasi del tutto trasparente alla radiazione solare; gli strati d’aria lontani dal suolo si riscaldano pochissimo durante il giorno e si raffreddano in modo trascurabile durante la notte, anche perché l’aria è un pessimo conduttore del calore. Una massa d’aria che subisce uno spostamento verticale, ad esempio perché costretta a salire o scendere lungo un rilievo, viene a trovarsi in regioni con diversa pressione atmosferica; come avviene per tutti i gas, il processo di espansione o di compressione è accompagnato da raffreddamento o da riscaldamento. La trasformazione può essere considerata adiabatica per via della bassa capacità dell’aria di trasmettere il calore per conduzione agli strati vicini. Si calcola facilmente che durante la salita l’aria si raffredda di circa 1 grado per ogni 100 metri di dislivello e, per le ragioni esposte, questa variazione di temperatura rispetto all’altezza è detta ‘gradiente adiabatico dell’aria secca’. Si tratta di una quantità importante perché nell’atmosfera il gradiente adiabatico rappresenta in pratica la massima variazione possibile di temperatura che si può osservare con una variazione di quota (ed è anche un valore facile da ricordare!). Le trasformazioni che subisce l’aria umida sono in generale più complesse specialmente a causa dei processi di condensazione e di evaporazione del vapore acqueo. Durante la condensazione si libera calore, mentre con l’evaporazione il calore viene assorbito. La variazione di temperatura che si misura in presenza di condensazione del vapore è dunque inferiore che nell’aria secca. A seconda della quantità di umidità che condensa la variazione di temperatura con la quota è dell’ordine di circa 0.5-0.6 gradi per ogni cento metri, quindi anche della metà rispetto all’aria secca. |
afa | |
Alassio | |
Albedo | Frazione di radiazione solare riflessa in tutte le direzioni dalla superficie di un corpo illuminato dal sole, sia esso terra, mare o nube. Molto alto è l'albedo delle nubi (a seconda delle nubi, ha un range di variabilità 0.2 ÷ 0.8), mentre quello del mare è bassa (0.05 ÷ 0.5). Il valore medio per la Terra è circa il 42%, ma ha una forte dipendenza dal tipo di copertura, per es., varia da 0.95 su neve fresca, 0.2 su suoli erbosi, 0.1 su foreste di conifere. Relazione tra albedo e temperatura La maggiore o minore riflessione di radiazione incidente, e il conseguente assorbimento, possono influenzare la temperatura di un corpo. Secondo i dati del National Climatic Data Center (USA), che sono composti dalle medie trentennali di migliaia di stazioni meteorologiche sparse per il mondo, la stazione vicina all'università di Fairbanks, Alaska è circa 3°C più calda dell'aeroporto di Fairbanks, una differenza dovuta in gran parte al fatto che l'università è circondata da alberi di pino, e quindi una percentuale minore di superficie è coperta di neve che riflette la radiazione nello spazio. Le stazioni di Neunke e Kukla mostrano che questa differenza è più forte durante gli ultimi mesi invernali, quando la radiazione solare è maggiore. Per dare un altro esempio, l'intera nazione del Belgio (un delle più urbanizzate del mondo) è considerevolmente più calda dell'aperta campagna francese che si trova immediatamente a sudovest, forse anch'essa a causa degli effetti di un differente albedo. Anche se la relazione tra albedo e temperatura è famosa principalmente tra le regioni più fredde della Terra, ricche di neve, è in realtà più forte nelle regioni tropicali, perché i tropici ricevono molta più luce dal Sole. Quando i contadini brasiliani tagliano scuri alberi di foresta vergine per rimpiazzarli con un suolo ancora più scuro su cui verranno piantate le colture, pare che la temperatura media della zona si alzi di 3° per tutto l'anno. L'albedo lavora anche su scala più piccola. Le persone che indossano abiti scuri d'estate sentono spesso più caldo di quelle che indossano abiti chiari, e chi soffre di cuore rischia più facilmente un infarto. Albedo tipici: L'albedo di una foresta di pini a 45° nord di latitudine, che copre interamente la superficie, è di appena il 9%, tra i più bassi di un ambiente naturale di terraferma. Questo basso valore deriva in parte dal colore dei pini, e in parte dalle differenti riflessioni della luce in mezzo agli alberi, che diminuisce la quantità di luce riflessa verso l'alto. L'albedo di un oceano, grazie al fatto che la luce penetra nell'acqua, è ancora più basso: circa il 3,5%, che può cambiare però parecchio con l'angolo della radiazione incidente. I cespugli densi stanno tra il 9% e il 14%. Un prato è attorno al 20%. Un terreno arido ha un albedo che dipende dal colore del suolo, e può essere basso fino al 9% o alto fino al 40%, con i campi coltivabili che si collocano al 15%. Un deserto o una grande spiaggia si collocano in genere attorno al 25%, con grandi variazioni dovuti ai diversi colori della sabbia. (fonte di tutto questo: studio di Edward Walker's nelle Grandi Pianure nell'inverno, a circa 45°N. Le strutture urbane hanno valori di albedo molto diversi, perché le strutture artificiali spesso assorbono la luce prima che essa possa raggiungere la superficie. Nelle parti settentrionali del mondo, le città sono spesso molto scure, e Walker ha mostrato che il loro albedo medio è di circa il 7%, con un piccolo incremento durante l'estate. Nelle nazioni tropicali, le città hanno un albedo attorno al 12%. I differenti valori derivano direttamente da differenti materiali e stili di costruzioni. La neve fresca appena caduta su un paesaggio uniforme ha un albedo di 0,9. Un campo di neve più comune (ad esempio, le pianure dell'Antartide) si collocano attorno a 0,8. Poiché gli alberi sono così efficienti nell'assorbire calore, sembrerebbe logico che tagliando le foreste si otterrebbe un raffreddamento della Terra nel suo insieme. Gli effetti non sono però così semplici, e ci sono prove sia pro che contro quest'ipotesi. Alcuni pensano che non sia vero perché, nelle regioni tropicali, il suolo ha un albedo minore ed assorbe perciò ancora più calore degli alberi. Le foreste tendono inoltre a formare molte nubi sopra di esse, e le nubi hanno un albedo più alto. È però vero che ambienti senza alberi in regioni fredde, spesso coperti di neve, hanno un albedo tra il 10% e il 50% più alto di regioni vicine, ma contenenti foreste, e che le temperature alle medie latitudini sono più fredde fino a 11°C in regioni desolate. Vicino ai poli, la differenza tende a scomparire perché diminuisce molto l'ammontare di luce incidente. Se un'area parzialmente coperta di neve si riscalda, la neve tende a sciogliersi, abbassando l'albedo e portando quindi a uno scioglimento ancora maggiore. Quest'effetto è la base di partenza per i modelli che prevedono un forte riscaldamento dei poli e delle regioni coperte stagionalmente di neve a causa del riscaldamento globale. In effetti, i pochi sostenitori rimanenti del vecchio piano dell'Unione Sovietica di sciogliere il Mare Glaciale Artico si basano soprattutto sull'argomento che, una volta sciolto il ghiaccio, le temperature non diventerebbero mai così fredde da farlo ghiacciare di nuovo. La loro teoria è probabilmente falsa, perché i modelli climatici hanno mostrato che le temperature rimarrebbero sotto lo zero per la maggior parte dell'anno. Una volta formatosi del ghiaccio in inverno, il suo alto albedo contribuirebbe a tenerlo freddo anche d'estate. La temperatura media del Polo Nord in luglio è stimata a circa -1°C, e si pensa che senza una calotta di ghiaccio salirebbe a circa 6°C. Le nuvole sono un'altra sorgente di albedo che giocano un ruolo nei modelli di riscaldamento globale. Tipi differenti di nuvole hanno un albedo molto differente, compreso in teoria tra 0% e 70%. Non si sa se l'accumulo di particelle inquinanti scure possa avere l'effetto di diminuire l'albedo delle nuvole, contribuendo a scaldare la Terra. Durante gli incendi dei pozzi petroliferi del Kuwait nel 1991, le temperature nel deserto scesero in media di 7°C durante i periodi di maggiore copertura. I dati sono quindi contrastanti. |
Albenga | |
Alisei | Venti costanti che spirano con particolare regolarità sugli oceani. Nel nostro emisfero gli alisei provengono sempre da nord-est, nell'emisfero australe da sud-est. Si possono incontrare solo in una fascia compresa tra i 30° di Lat. N. ed i 30° di Lat. S. Famosi quelli che interessano l'Atlantico tropicale che permisero a Cristoforo Colombo la traversata dalle coste africane ai Caraibi. Gli alisei sono venti secchi, anche quando soffiano sull'oceano, perché hanno origine in aree anticicloniche, per cui solitamente determinano cielo limpido. La velocità degli alisei si aggira intorno ai 20 km/h. Gli alisei sono importantissimi anche per la pesca, infatti quando spirano da terra (cioè sulle coste occidentali dei continenti) spingono le masse oceaniche superficiali verso ovest, le quali vengono rimpiazzate da acque profonde più ricche di nutrienti alla base della catena alimentare marina. Questo fenomeno è noto come upwelling e crea zone molto ricche di pesce, le aree dove queste correnti di upwelling (corrente delle Canarie, corrente del Benguela, corrente della California, corrente del Peru) si originano dagli alisei sono molto vaste e ampiamente utilizzate per la pesca commerciale. Gli alisei influenzano molto i climi dei tropici, le zone (coste tropicali occidentali) dove spirano gli alisei di terra sono molto aride (es. deserto del Namib) perché contengono aria secca, viceversa nelle zone dove spirano gli alisei di mare (coste tropicali orientali) si hanno climi umidi perché sono ricchi di vapore acqueo. Nella moderna lingua inglese sono chiamati trade winds, cioè venti del commercio, tuttavia l'origine della parola è molto diversa. Deriva dalla forma antica tread che significava sentiero, riferendosi appunto al fatto che questi venti soffiano sempre secondo una direzione ben precisa, quasi a tracciare un sentiero o percorso nel mare che era facile da seguire per le imbarcazioni a vela del tempo. |
Allertameteo | |
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alluvione | |
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Alta pressione (o area anticiclonica) | Zona dell'atmosfera terrestre all'interno della quale la pressione esercitata dalla massa d'aria è maggiore. |
Anemometro | Strumento per misurare la velocità del vento. I più semplici sono gli anemometri a mulinello nei quali un sistema di tre o quattro coppe solidali ad un asse provoca, al passaggio del vento, la rotazione dell'asse stesso che è collegato ad un contagiri o ad un tachimetro. Spesso l'anemometro è accoppiato ad una banderuola che misura la direzione del vento. (Wikipedia) - Il primo anemometro fu inventato da Leon Battista Alberti nel 1450; era costituito da una tavoletta mobile, la cui inclinazione forniva una misura dell'intensità del vento. Intorno al 1500, Leonardo da Vinci costruì un anemoscopio per rilevare la direzione del vento e progettò un anemometro a lamina meccanica per misurarne la velocità[1]. Nel 1667 Robert Hooke costruì una propria versione di anemometro. Nel 1846 John Thomas Romney Robinson costruì un anemometro formato da coppette e frecce meccaniche. Nel 1926 John Patterson costruì l'anemometro a tre coppette attualmente in uso. Esistono diversi tipi di anemometri, i più semplici sono quelli nei quali la velocità del vento viene determinata misurando l'inclinazione che conferisce a un filo a piombo, e quelli a palette, nei quali la velocità del vento è calcolata in base al numero di giri compiuti in un tempo determinato da una ruota imperniata munita di palette e coppette. Esistono poi altri tipi di anemometro formati dalle cosiddette coppette (delle semisfere) ed una "freccia" detta comunemente bandieruola per far vedere la direzione del vento. In aeronautica, l'anemometro è uno dei tre strumenti a capsula (anemometro, altimetro e variometro). L'anemometro rileva la velocità della massa d'aria. Lo strumento presenta 3 archi di vari colori: l'arco bianco (utilizzo massimo per flaps e carrello), arco verde (velocità di crociera operativa dell'aeromobile), arco giallo (velocità dell'aeromobile in aria calma). All'estremità dell'arco giallo è indicata una linea rossa (Vne) che indica la velocità massima strutturale dell'aeromobile. La velocità indicata dall'anemometro (IAS o Indicated Air Speed) è in genere diversa da quella vera (TAS o True Air Speed), perché dipende dalla pressione e quindi anche dalla temperatura. Tuttavia le velocità caratteristiche dell'aereo (velocità massima, velocità di stallo,...) sono sempre riferite alla velocità indicata. Ovviamente l'anemometro non può misurare la velocità al suolo (GS o Ground Speed), che dipende dalla velocità e dalla direzione del vento, e può essere ricavata con un regolo aeronautico o con un ricevitore GPS. Gli anemometri possono essere suddivisi in due tipi: anemometri che misurano la velocità del vento anemometri che misurano la pressione del vento L'anemografo è un anemometro collegato ad un registratore meccanico (solitamente dotato di un rullo di carta) o elettronico. |
Anticiclone | Porzione dell'atmosfera in cui la pressione aumenta progressivamente dai margini verso il centro determinando un caratteristico moto rotatorio delle masse d'aria. Le masse d'aria ruotano, a causa della forza di Coriolis, in senso orario nell'emisfero boreale ed in senso antiorario in quello australe. Sull'Europa si riconoscono due anticicloni detti semipermanenti perché nel corso dell'anno occupano posizioni quasi fisse: • Anticiclone delle Azzorre, centrato solitamente sulle isole Azzorre, quando si espande lungo i paralleli arriva ad interessare l'intera Europa mediterranea, garantendo periodi anche lunghi di tempo stabile, soleggiato e secco. Quando si espande lungo i meridiani, arrivando fino alla latitudine delle Isole Britanniche, favorisce la discesa di aria fredda dal Mare del Nord verso il Mediterraneo occidentale, dando luogo e periodi di tempo freddo e perturbato sull'Italia; • Anticiclone russo, area di altra pressione centrata solitamente sulla Russia europea. In inverno si spinge spesso verso sud est fino ad interessare le regioni italiane, portando temperature rigide soprattutto sulle regioni adriatiche e su quelle settentrionali. |
Anticicloni termici | Esistono due tipi di anticicloni termici: quelli stagionali e quelli a ciclo diurno. Per quanto riguarda questi ultimi il loro sviluppo avviene sulle zone superficiali che rimangono più fredde rispetto ad altre. Ad esempio, rispetto alla superficie marina, la terra ferma si raffredda più velocemente durante la notte, per cui l’aria al di sopra di essa rimane più fredda e quindi più densa e compatta che non quella sul mare. Per questo motivo sulle zone costiere interne si ha un’area di alta pressione (anticiclonica) rispetto al mare; tale dislivello barico genera la brezza di terra: venti dalla costa verso il mare. Anche le brezze di valle si sviluppano per lo stesso motivo: di notte le catene montuose si raffreddano di più che non le pianure adiacenti per cui la pressione è relativamente più alta in prossimità delle cime; si attiva così una circolazione d’aria dal monte verso le pianure attraverso le valli. Gli anticicloni termici possono anche persistere per lunghi periodi di tempo e non solo per una notte. In questo caso si parla di anticicloni termici stagionali. E’ bene sottolineare che la stagione in cui l’alta pressione si stabilizza sulle zone continentali, ossia all’interno di vaste distese di terra, è quella invernale. E’ il caso dell’anticiclone Euro-Asiatico, la cui propaggine che viene a "farci visita" è da noi conosciuta come Anticiclone Russo o Siberiano. Non esistono quindi anticicloni termici continentali in estate. In effetti questa affermazione è coerente con quanto sopra esposto riguardo al meccanismo che genera l’area di alta pressione: d’inverno le zone continentali si raffreddano notevolmente, soprattutto quelle a latitudini elevate determinando un raffreddamento dell’aria nei bassi strati e quindi alta pressione. E’ immediato quindi osservare che in estate le aree anticicloniche di origine termica si formeranno sui mari, i quali rimangono più freddi della terra ferma. A questo proposito, spesso sentiamo parlare dell’Anticiclone delle Azzorre e del suo espandersi sul Mediterraneo con la conseguenza di ottenere alta pressione in prossimità della nostra Penisola e quindi giornate di bel tempo. E’ tuttavia improprio parlare di spostamento dell’anticiclone sui nostri mari durante il periodo estivo: la causa principale dell’innalzamento della pressione sul Mediterraneo è quella di origine termica descritta. |
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Arcobaleno | Fenomeno luminoso (fotometeora) prodotto dalla riflessione, rifrazione e dispersione subita dalla luce solare nell'attraversamento di gocce d'acqua in sospensione nei bassi strati dell'atmosfera. L'arcobaleno consiste in un arco luminoso nel quale si possono osservare sette fasce di colori convenzionali che, dall'interno verso l'esterno, sono violetto, indaco, azzurro, verde, giallo, arancione, rosso. Perchè il fenomeno sia visibile è necessario che le gocce d'acqua che lo producono siano sufficientemente grandi come quelle della pioggia e che l'osservatore si trovi con il sole alle spalle. Fin dall’antichità l’arcobaleno è sempre stato considerato un fenomeno atmosferico affascinante e legato alle divinità. Per la filosofia buddista, l’arcobaleno è la scala con la quale Buddha ridiscende dal cielo; nella mitologia greca, l’arcobaleno è rappresentato da Iride vestita di iridescenti gocce di rugiada. Anche in Cina l’arcobaleno assume un significato: l’insieme dei suoi colori rappresenta l’unione dello yin e dello yang, l’armonia dell’universo e della sua fecondità. Secondo San Martino i sette colori sono i simboli delle virtù intellettuali; mentre, per i cristiani, simboleggia l’alleanza tra Dio e gli uomini dopo il diluvio universale. Che cosa è in realtà l’arcobaleno? È l’insieme di sette archi concentrici, di diverso colore (rosso, arancione, giallo, verde, blu, indaco, viola), che hanno origine dall’interazione dei raggi solari con le gocce di pioggia. Già Aristotele aveva tentato di spiegare matematicamente la formazione dell’arcobaleno, ma è solo con Descarte (Cartesio, 1637) che si hanno i primi trattati matematici corretti su questo fenomeno. Dopo un temporale, è possibile vedere apparire un arcobaleno in una porzione del cielo, mentre il sole splende in un’altra. Tuttavia, questo accade solo se l’osservatore ha il sole alle spalle e il centro dell’arco circolare è nella direzione opposta all’astro. Ci sono, infatti, tre effetti ottici che determinano la formazione dell’arcobaleno: rifrazione, riflessione e dispersione. I raggi solari, che attraversano la goccia di pioggia, supposta sferica, sono rifratti (deviano la loro traiettoria) al suo interno e sono, pertanto, separati in altri raggi, associati ai diversi colori. Se all’interno il raggio rifratto forma un angolo maggiore di quello critico (48°) con la normale alla superficie interna, che il raggio raggiunge, allora il raggio è riflesso e nuovamente rifratto quando esce dalla goccia. Da ogni goccia, tuttavia, esce un solo raggio (raggio di Descarte) con un angolo caratteristico, corrispondente ad un determinato colore, che varia dai 40 (viola) ai 42 gradi (rosso). Questo raggio è il più significativo perché, tra tutti i raggi incidenti sulla goccia, è quello che ha il più piccolo angolo di deviazione. La concentrazione di raggi vicino alla minima deviazione e la forma sferica delle gocce sono la spiegazione della forma arcuata dell’arcobaleno. In particolari condizioni atmosferiche, è possibile osservare due arcobaleni vicini di diversa intensità luminosa e, a volte, se si è particolarmente fortunati, si può scorgere anche un terzo. Quello più luminoso è detto arcobaleno primario e ha i colori che cambiano dal rosso, all’esterno dell’arco, al violetto, al suo interno. La posizione dei colori è determinata dall’angolo dei raggi uscenti dalle gocce. L’arcobaleno secondario, così come gli altri, se esistono, si crea per una duplice riflessione dei raggi rifratti all’interno delle gocce. Per questo arcobaleno, la disposizione dei colori è invertita. La parte interna di un arcobaleno primario risulta molto più luminosa di quella esterna. La spiegazione sta sempre nell’ampiezza degli angoli dei raggi uscenti. Alcuni raggi emergono dalla goccia con angoli più piccoli rispetto a quello del raggio di Descarte. In questo modo ci sarà un sovrapposizione di colori che daranno luce bianca. In conclusione, l’arcobaleno, essendo generato dall’interazione dei raggi del sole con la pioggia, potrà essere osservato prevalentemente in estate, perché c’è più possibilità di avere contemporaneamente sole e pioggia, ma non sarà identico a due persone diverse perché cambia il loro punto di vista rispetto agli angoli di rifrazione e di riflessione dei raggi. |
Area climatica | I valori di temperatura, pressione, umidità, nuvolosità, venti e precipitazione possono essere influenzati da diversi fattori come la latitudine, l'altitudine la conformità dei rilievi, delle pianure e del mare, le correnti aeree e marine, l'albedo e dall'intervento umano. Quando questi, calcolati su un periodo di tempo di 20-30 anni, risultano omogenei su una zona, allora si parla di area climatica. L’area, dal punto di visto geografico, deve avere le stesse caratteristiche in modo tale che mediamente l’interazione fra la circolazione locale e quella a più vasta scala produca una simile distribuzione dei parametri meteorologici. Nella Val Padana, ad esempio, si distinguono tre macroaree: l’area montuosa, l’area pianeggiante e l’area marittima. Ognuna di queste può essere, a sua volta, divisa in aree più piccole, diverse per la circolazione atmosferica tipica alle diverse scale, per la diversa copertura vegetativa, per la diversa distribuzione di distese d’acqua, per le diverse conformazioni dei suoli. L’area climatica sarà, dunque, quella sulla quale le similitudini geomorfologiche e circolatorie portano a caratteristiche simili nella distribuzione dei parametri meteorologici osservabili, che si riflette sul loro andamento di lungo periodo. |
aria artica | |
Assestamento | Diminuzione di spessore del manto nevoso dovuta all’azione del peso proprio della neve ed ai fenomeni di metamorfismo distruttivo e di fusione. Porta come conseguenza un aumento della densità. La velocità con cui procede il fenomeno è direttamente influenzata dalla temperatura. |
Atmosfera | Involucro di gas che circonda un pianeta. L'atmosfera della Terra ha una composizione costante fino alla quota di circa 100 km, almeno per quanto riguarda i gas principali: ossigeno (20,95%), azoto (78,08% in volume), argo (0,95%), anidride carbonica (370 ppm di concentrazione). Il vapor d'acqua è presente in percentuale più alta (fino al 4%), ma la sua concentrazione dipende dalla quota e dal tipo di suolo sottostante, se ricco o povero d’acqua. Al di sopra dei 100 km i gas atmosferici si stratificano in base al loro peso molecolare per cui a quote più basse si trovano azoto ed ossigeno, mentre a quote più alte elio ed idrogeno. L'atmosfera viene suddivisa in cinque fasce: • troposfera: da 0 a 11 km, è la regione più vicina alla superficie terrestre, nella quale si osservano i principali fenomeni climatici. La temperatura diminuisce in funzione dell'altezza, mediamente di 0,65° ogni 100 metri; • stratosfera: da 11 a 50 km. La temperatura è costante fino a 20 km, poi aumenta a causa della presenza di ozono; • mesosfera: da 50 a 95 km, è caratterizzata da una rarefazione dei componenti gassosi, la temperatura raggiunge il valore minimo tra i -70 ed i -90°C; • termosfera: da 95 a 500 km, è caratterizzata da un continuo aumento della temperatura; • esosfera: oltre i 500 km, è la porzione di atmosfera che fa da confine con il vuoto cosmico. |
Aurora polare | L’aurora polare è uno dei più bei fenomeni che si possono osservare nell’alta atmosfera; normalmente è visibile al di sopra del settantacinquesimo grado di latitudine ma, a volte, seppur molto raramente, compare anche alle medie latitudini. Questo fenomeno si manifesta contemporaneamente nei due emisferi e prende il nome di "Aurora Boreale" nell’emisfero Nord e di "Aurora Australe" nell’emisfero Sud. L’aurora boreale è più evidente nelle regioni artiche europee, si verifica tutto l’anno, ma si può osservare solo con un cielo notturno buio e terso; è più bella nei mesi autunnali, benchè visibile fino al mese di marzo, mentre in estate "scompare" nelle notti chiare: alle isole Svalbard, per esempio, si può ammirarla dal 25 di ottobre al 16 febbraio, mentre a Capo Nord ciò è possibile solo dal 25 novembre al 17 gennaio. Questo fenomeno, che in molte culture veniva associato ad una danza di spiriti, solitamente si manifesta tra i 100 ed i 200 km di altezza, ma a volte raggiunge anche i 1000 km, ed appare come una tenda mossa dal vento oppure come una serie di punti splendenti irradiati da un unico centro; è dovuto al cosiddetto vento solare, una sorta di corrente proveniente dal Sole, le cui particelle (ioni), arrivando in prossimità della Terra, vengono costrette a deviare verso i poli seguendo le linee di forza del campo magnetico terrestre. Quando penetrano nella ionosfera, queste particelle interagiscono con i gas rarefatti e ionizzati presenti i quali, eccitandosi, emettono i loro spettri caratteristici: l’ossigeno d’alta quota (sopra i 200 km) emette luce rossa, mentre quello più basso (fino a 100 km) luce verde, il colore più comune; l’azoto invece è fonte di luce blu e violetta. L’immagine dell’aurora è sempre in movimento a causa della variabilità dell’interazione tra il vento di particelle cariche e il campo magnetico terrestre, variando in tal modo da giorno a giorno e anche durante la singola giornata. |
Avvezione | “Trasporto di una grandezza fisica dell'aria in orizzontale o in verticale. L'avvezione fredda è il trasporto di aria da regioni fredde a quelle più calde. L'avvezione di vorticità è il trasporto di una massa d'aria con vorticosità ciclonica verso zone con aria meno vorticosa.” In atmosfera esistono masse d’aria con caratteristiche fisiche molto diverse: temperatura, contenuto di vapore acqueo, densità …Ora, se ad esempio consideriamo l’arrivo di un fronte freddo in una determinata area, alla massa d’aria preesistente se ne sostituirà una caratterizzata da una temperatura inferiore; potremo così parlare di avvezione fredda. Allo stesso modo parleremo di avvezione calda nel caso in cui l’aria in arrivo abbia una temperatura superiore a quella preesistente. Un’avvezione, calda o fredda che sia, porta in generale un cambiamento del tempo, poiché porta a contatto masse d’aria di natura differente. Proprio per questo motivo, per un meteorologo, l’individuazione delle avvezioni è di fondamentale importanza. Un semplice metodo pratico per distinguere un’avvezione calda da una fredda è quello di porsi con le spalle al vento e di osservare il movimento delle nuvole: se esse provengono da sinistra si avrà avvezione calda, specie se il vento proviene dai quadranti meridionali, viceversa se le correnti aeree provengono da destra si avrà avvezione fredda. Da un punto di vista più rigoroso l’individuazione delle avvezioni può essere effettuata tramite una mappa in quota (solitamente quella a 850 hPa, dove risultano maggiormente distinguibili le diverse masse d’aria, non essendo direttamente a contatto con il suolo), esaminando la disposizione delle isoterme e delle isoipse. Come è noto, le isoterme sono linee che uniscono tra loro punti alla stessa temperatura; esse individuano quindi masse d’aria con caratteristiche termiche differenti. La distribuzione delle isoipse (che hanno pressoché lo stesso significato delle isobare disegnate su una carta al suolo) dà informazioni sull’intensità e la direzione del vento, in quanto il vento in quota risulta avere pressoché la loro direzione. Quindi se, ad esempio, isoipse e isoterme sono parallele tra loro, significa che il vento trasporta una massa d’aria con determinate caratteristiche termiche, verso aria dello stesso tipo, il che da un punto di vista meteorologico risulta di scarsa importanza. Al contrario nelle zone dove tra isoipse e isoterme si forma un angolo diverso da zero, il vento porta a scontrarsi tra loro masse d’aria con temperature diverse. Quanto maggiore risulta l’angolo o l’addensamento di isoterme, tanto più intensa risulterà l’avvezione. In particolare se le isoipse tagliano le isoterme dai valori più alti a quelli più bassi, si verificherà un’avvezione fredda con un conseguente abbassamento della temperatura; viceversa se le isoipse tagliano le isoterme da valori più alti a valori più bassi, si sarà in presenza di un’avvezione calda, con relativo rialzo della temperatura. Il termine avvezione non è, in generale, riservato alle sole avvezioni di tipo termico ma si riferisce a tutti quei moti che trasportano grandezze fisiche significative tra zone con differenti valori della grandezza in esame; parleremo allora di avvezioni positive nel caso in cui in aree caratterizzate da certi valori della nostra grandezza giungano masse d’aria con livelli superiori della stessa, viceversa parleremo di avvezioni negative. |
Banderuola | Strumento per la misura della direzione di provenienza del vento. |
Bar | Unità di misura della pressione che corrisponde a centomila (105) newton su metro quadro, o Pascal. In meteorologia è più usato il sottomultiplo millibar (mbar), che corrisponde a ettopascal (hPa): 1 mbar = 1 hPa. |
Barometro | Strumento di misura della pressione atmosferica. I barometri sono di due tipi: a mercurio o metallici. - barometro a mercurio deriva dal dispositivo ideato nel 1643 da Evangelista Torricelli per dimostrare l'esistenza della pressione atmosferica. La forma più semplice è costituita da un tubo di vetro lungo circa un metro, chiuso ad un'estremità, che viene riempito di mercurio e immerso per qualche centimetro, capovolto, in una vaschetta pure contenente mercurio. All'interno del tubo la colonna di mercurio si abbassa finchè viene raggiunto l'equilibrio tra la sua forza peso e la pressione atmosferica che grava sulla superficie libera del mercurio presente nella vaschetta. - barometro metallico. meno preciso di quello a mercurio, ma molto più pratico e, soprattutto, trasportabile. L'elemento sensibile è una capsula a chiusura ermetica di lamierino metallico in cui è stato fatto il vuoto. |
Bassa pressione (area ciclonica) | Zona dell'atmosfera terrestre all'interno della quale la pressione esercitata dalla massa d'aria è minore. |
Beaufort | Dal nome dell'ammiraglio inglese Francis Beaufort che la propose, è una scala per la classificazione dei venti, adottata nel 1926 e corretta nel 1954 dall'Organizzazione meteorologica mondiale. Nella scala di Beaufort i venti sono divisi in 12 gradi a seconda della loro velocità, e si va dalla calma piatta all'uragano, quando la velocità del vento supera i 118 km/h. |
Bollettino valanghe | Insieme di informazioni riguardanti la passata evoluzione del tempo e del manto nevoso e valutazioni relative al possibile verificarsi di caduta di valanghe, con informazioni sulla localizzazione spazio-temporale delle stesse, tenuto conto delle condizioni meteorologiche (v. previsione). I bollettini valanghe vengono emessi a cadenza fissa che può essere settimanale, bisettimanale, trisettimanale o giornaliera. Possono venire emessi bollettini in giornate diverse da quelle previste ogni qual volta notevoli cambiamenti delle condizioni nivometeorologici lo richiedano. Quando presenta una parte specificatamente dedicata alla previsione meteorologica, con particolare riferimento a quei parametri che hanno maggior influenza sulla evoluzione e sulla stabilità del manto nevoso, si definisce bollettino nivometeorologico. |
Bora | Vento freddo caratterizzato da raffiche di notevole intensità che ha origine dagli altopiani delle Alpi orientali. La bora soffia in ogni stagione e secondo una direzione caratteristica di ciascun luogo in cui si registra. E' famosa a Trieste e in generale sulle coste adriatiche. |
Brezza | Vento con un ciclo giornaliero e velocità compresa tra 5 e 7 m/s, provocato dalla differenza di pressione che si stabilisce tra acqua e terraferma lungo i litorali marini (brezza mare-terra), oppure tra i versanti dei monti e i fondovalle (brezza monte-valle). La differenza di pressione tra terra e mare è dovuta al fatto che il suolo si riscalda di giorno più rapidamente dell'acqua, mentre di notte si raffredda più rapidamente. Ciò provoca una circolazione d'aria la cui velocità aumenta quanto maggiore è il salto termico. In modo analogo si sviluppa la brezza monte-valle. |
Brezze di valle, di monte e di pendio | Ad iniziare dalla primavera ma ancora più spesso in estate non è raro in sede di previsioni sentir parlare di venti a regime di brezza e più semplicemente di brezze lungo le valli. Cosa ci si deve quindi aspettare per il domani se ci troviamo in montagna oppure la montagna sarà la meta di una nostra gita? Innanzitutto accogliamo questa previsione come un buon segno perché le brezze sono tipiche delle giornate assolate, del bel tempo, quando sono lontane le perturbazioni e con esse i venti che con diversa direzione e velocità accompagnano il loro passaggio. Ed il motivo è semplice: il meccanismo con cui si instaurano le brezze vede come condizione necessaria, anche se non sufficiente, la presenza del sole. Dopo l'alba infatti il suolo raggiunto dai raggi solari inizia a riscaldarsi e l'aria a contatto con esso, riscaldandosi a sua volta, come ogni gas tende a dilatarsi. Ed è in questo comportamento generale che si inserisce la morfologia del terreno influenzando i moti dell'aria in tutto il sistema costituito da una vallata, dai suoi pendii e dalla pianura antistante il suo imbocco. L'aria che sovrasta la pianura infatti può espandersi liberamente mentre quella all'interno della valle è "soffocata" lateralmente dai suoi versanti e tende quindi ad espandersi verso l'alto risalendo i pendii laterali. Ne deriva quindi una differenza di pressione atmosferica, con valori più elevati sulla pianura, che quindi richiama aria verso la valle: è questa la cosiddetta "brezza di valle" che la risale dal suo imbocco fino alla testata. A questo flusso lungo la direttrice principale del fondovalle si somma un meccanismo di risalita dell'aria ancora più localizzato. Infatti all'interno delle vallate le prime ad essere raggiunte dai raggi solari dopo l'alba sono le creste, i pendii in quota e di conseguenza qui l'aria inizia prima il suo riscaldamento diurno espandendosi verso l'alto e richiamando altra aria dal fondovalle. Queste brezze, chiamate anche "brezze di pendio" e che raggiungono il loro massimo nelle prime ore del pomeriggio, sono venti generalmente di debole intensità ma a loro si devono sia i banchi di nebbia che si formano nel mattino lungo i pendii, dovuti alla condensazione del vapore acqueo contenuto nell'aria più umida in sollevamento dal fondovalle, sia la formazione di nubi cumuliformi che anche nelle giornate di deciso bel tempo estivo fanno da cappello alle cime. Si tratta come detto di moti d’aria ascensionali che vengono sfruttati anche dagli appassionati del volo a vela per compiere le loro evoluzioni con deltaplani, parapendii ed alianti. Le correnti d'aria, le brezze fin qui descritte, cessano la loro azione nella sera per poi invertire il loro senso al tramontare del sole. Infatti quando cessa l'insolazione l'aria a contatto con i versanti in quota si raffredda velocemente e, diventata più pesante, tende a scivolare verso il basso, dalle creste verso il fondovalle e qui va ad alimentare un deflusso dalla testata della valle verso il suo sbocco: si instaurano quindi le "brezze di monte" che raggiungono il loro massimo poco prima dell'alba, momento coincidente con il massimo raffreddamento notturno. |
Brezze marine | In primavera e in estate, in giornate di cielo sereno e con poca ventilazione, capita spesso di assistere, sulle zone costiere, all’insorgere di un vento che arriva dal mare. Tale vento viene definito brezza di mare. Esso si genera a causa della differenza di pressione che si instaura tra la terraferma e la superficie marina. Infatti, nelle giornate in questione, il suolo si scalda molto di più che non l’acqua. Questo, sulla terraferma, determina una risalita di aria calda e quindi un abbassamento di pressione, mentre sul mare la pressione non subisce variazioni, per cui risulterà maggiore. Questo dislivello barico sospinge verso la costa l’aria più fredda e più umida che sta sulla superficie marina. In effetti le manifestazioni di brezza, sono accompagnate da un abbassamento di temperatura e da un aumento di umidità sulla terraferma. Inizialmente il fenomeno riguarda le zone costiere ma, con il passare del tempo, il vento si propaga anche nell’entroterra e può penetrarvi anche per 30-50 Km. Sul mare l’estensione è minore. La brezza incomincia a manifestarsi intorno alle 9-10 del mattino e raggiunge la sua intensità massima nel pomeriggio con una velocità di 6-12 nodi; dopo il tramonto, si affievolisce per poi estinguersi in serata. Questo vento soffia dalla superficie fino ad una altezza massima di 400-600 metri. A quote superiori l’aria si muove in direzione opposta a quella della brezza (secondo il meccanismo delle celle convettive); questo è il motivo per cui in caso di debole nuvolosità si osservano le nubi spostarsi verso il mare aperto. Il fenomeno descritto non si manifesta nei mesi più freddi essendo debole il riscaldamento del suolo, ma anche in estate, in giornate con venti che si spingono dalla costa verso il mare aventi intensità superiori ai 7-8 nodi, la brezza viene a mancare. Al contrario se soffiano venti dal mare verso la terra legati alla circolazione generale dell’atmosfera, la brezza risulterà particolarmente intensa e potrà raggiungere i 10-20 nodi. Naturalmente esiste anche una brezza di terra: durante le notti serene il suolo si raffredda di più che non il mare ed anche in questo caso tra le due zone si genera un dislivello di pressione. Questa volta la pressione più alta è sulla terraferma, per cui aria dall’entroterra soffierà verso il mare. L’intensità della brezza terrestre è circa la metà di quella di mare. Tra giorno e notte l’avvicendarsi dei due tipi di brezza è caratterizzato da qualche ora di momentanea calma di vento. Infine ricordiamo che esistono brezze di lago e brezze tra monte e valle generate dallo stesso meccanismo. |
Brina | E' l'insieme di piccoli cristalli di ghiaccio che si formano sulla superficie del suolo, di solito durante la notte e le prime ore del mattino. La brina è prodotta dal congelamento del vapore acqueo atmosferico a causa del forte raffreddamento notturno. Le condizioni più favorevoli per la sua formazione si hanno nelle notti invernali serene, con terreno asciutto e senza vento. |
Brina di profondità | Strato che si forma preferibilmente verso la base del manto nevoso per effetto del metamorfismo di gradiente ( v.) E’ costituito da cristalli con scarsissima coesione che determinano quindi una diminuzione di stabilità. La loro forma assomiglia a piccole clessidre molto ravvicinate l'una all'altra ed il loro sovraccarico può provocare le valanghe di fondo che interessano l'intero strato di manto nevoso. |
Brina di superficie | Cristalli di ghiaccio legati fra loro che si formano sulla superficie della neve per sublimazione diretta del vapore acqueo. Notti serene, temperature basse e assenza di vento favoriscono il verificarsi del fenomeno. Questi cristalli, se ricoperti da ulteriori nevicate, possono, essendo molto fragili, costituire un piano di scivolamento ottimale per le valanghe. |
Buco dell'ozono | Zona di assenza di ozono (buco) nella stratosfera al di sopra del polo nord. Il buco dell’ozono è stato scoperto nel 1988 e qualche anno prima era stato scoperto un analogo buco sopra il polo sud. Questa diminuzione dello strato di ozono è, almeno in parte, causata dall'attività umana e, in particolare, dai fluoroclorocarburi usati nelle confezioni spray come propellenti o nei circuiti refrigeranti dei frigoriferi e impianti di condizionamento. |
caldo | |
calendario | |
Calore latente di condensazione | Calore emesso dalle molecole d'acqua durante il processo di condensazione. Alle temperature medie della troposfera è pari a circa 600 calorie per grammo. La stessa quantità di calore viene assorbita dalle molecole d'acqua durante l'evaporazione. Durante la formazione delle nubi il calore latente emesso va ad aumentare la temperatura dell'aria. |
cambiamenti climatci | |
Carta Sinottica | Carta geografica di una regione sulla quale sono riportati i valori delle grandezze meteorologiche misurate in un dato istante (pressione, vento, umidità, visibilità, copertura del cielo, tipo di nubi, precipitazioni ecc.). I valori di pressione sono raffigurati come isobare, attraverso cui si identifica la presenza di cicloni e/o anticicloni. I valori di temperatura sono rappresentati tramite isoterme. Inoltre sulle carte sinottiche sono possono essere indicate le posizioni dei fronti. Le carte sinottiche, se riferite alla superficie del mare, riportano tutte quelle grandezze osservabili al suolo, come la pressione, la temperatura il vento e i fenomeni. Altre carte sinottiche sono quelle in quota e sono riferite a livelli di pressione standard (1000, 925, 850, 700, 500, 300, 250, 200, 150, 100 hPa). Esse riportano le grandezze misurate dai radiosondaggi (geopotenziale, temperatura, umidità vento) a quei livelli. |
Cella di Hadley | Tutti gli appassionati di meteorologia hanno sicuramente sentito nominare il signor Hadley e ciò che ha fatto per la conoscenza dei processi che avvengono nell’atmosfera. Questo illustre scienziato inglese del 18° secolo, ricercando quale possa essere l’origine dei venti alisei (quei venti costanti che soffiano entro la fascia intertropicale convergendo dai due emisferi in prossimità dell’equatore), ha ideato un modello che riesce a spiegare questi movimenti, allora misteriosi, delle masse d’aria. Questo suo modello si basa sul semplice concetto di trasporto di calore da una superficie calda ad una più fredda attraverso un fluido: nel caso in questione il fluido è costituito dall’atmosfera, la fonte di calore è il sole, la superficie calda è la fascia equatoriale mentre quelle fredde sono le calotte polari. Per tentare di bilanciare il divario termico tra le diverse latitudini l’aria equatoriale, sottraendo calore al suolo surriscaldato dal sole, sale in quota (fino a circa 16 km di altitudine) per poi dirigersi nei due emisferi verso i rispettivi poli dove ridiscende fino al suolo; dai poli, per chiudere il ciclo, l’aria al suolo è costretta a convergere nuovamente verso l’equatore: ecco spiegata l’origine degli alisei. Attraverso questo modello non si spiega, invece, il motivo per cui questo genere di circolazione avvenga solamente nella fascia intertropicale; infatti manca un elemento fondamentale: la rotazione terrestre. Il moto di rotazione della Terra genera la deviazione delle masse d’aria in moto: nell'emisfero nord l’aria viene deviata verso destra mentre nell’altro emisfero la deviazione avviene verso sinistra. A causa di ciò l’aria che viene riscaldata all’equatore e sale in quota non si dirige più in linea retta verso i poli ma devia verso oriente raggiungendo, al massimo, i 30° di latitudine per poi discendere al suolo e convergere verso l’equatore chiudendo il ciclo. Questa circolazione atmosferica prende il nome di CELLA (o cellula) DI HADLEY e risulta di fondamentale importanza nell’ambito della circolazione generale atmosferica, nonché nella comprensione delle varie tipologie di clima e habitat della zona torrida: dal quello caldo umido con foreste pluviali dell’equatore, a quello arido con immensi deserti dei tropici. |
Celsius | La scala Celsius, dal nome di Anders Celsius l'astronomo e fisico svedese (1701-1744) suo ideatore, è una scala termometrica centigrada, che ha valore 0 al punto di solidificazione e 100 al punto di ebollizione dell'acqua. L'unità di questa scala è detta grado Celsius (°C). |
Chiavari | |
Ciclogenesi | Processo di formazione di un ciclone. Il Golfo di Genova è conosciuto per le sue frequenti ciclogenesi dovute all'effetto combinato delle Alpi e del mare sulle masse d'aria fredde provenienti dal nord Europa. |
Ciclone | Massa d'aria caratterizzata da un centro di bassa pressione attorno al quale l'aria circola in senso antiorario nell'emisfero boreale e orario nell'emisfero australe. I cicloni possono spostarsi orizzontalmente. Alle medie latitudini (30° - 60° N o S) i cicloni sono detti extratropicali e hanno diametri dell'ordine di migliaia di chilometri. Essi generano forti venti, moti ondosi , formazioni di nuvole con precipitazioni anche temporalesche. Sono dovutiall'incontro di masse di aria fredda e secca con masse d'aria calda e umida. Nella fascia a cavallo dell'equatore (da 30° N a 30° S) i cicloni sono detti tropicali, hanno diametro di alcune centinaia di chilometri e possono generare venti fino a 200 Km/h. Al centro del ciclone tropicale è presente l'occhio del ciclone, con diametro da 3 a 20 km, dove regna una calma totale. I cicloni tropicali, quando diventano di forte intensità, sono chiamati uragani (Golfo del Messico, Caraibi, Florida) o tifoni (Giappone, Pacifico occidentale). In meteorologia il ciclone è quella figura barica (cioè riguardante la pressione) caratterizzata da isobare chiuse concentriche, aventi un minimo nel centro ed in cui le masse d’aria si muovano in senso antiorario rispetto al centro nell’emisfero settentrionale, in senso orario nell’emisfero meridionale. Questo è ciò che hanno in comune tutti i cicloni, i quali però si posson dividere in varie categorie a seconda della grandezza, durata e genesi che li caratterizza. Distinguiamo perciò i cicloni in permanenti, extratropicali o mobili, termici, orografici e tropicali. I cicloni permanenti sono determinati dalla circolazione generale dell’atmosfera, e non sono altro che una fascia permanente di bassa pressione intorno ai 60° di latitudine: a questi appartengono ad esempio il Ciclone d’Islanda o il Ciclone delle Aleutine. I cicloni extratropicali, o mobili, sono quelle depressioni mobili associate allo sviluppo di sistemi frontali: rappresentano il tipo di depressione più comune alle medie latitudini, hanno un diametro medio di 500-2000 Km, ed un ciclo di vita che va dai 3 ai 15 giorni. Sia i cicloni permanenti che quelli extratropicali sono caratterizzati da aria più fredda di quella circostante, e si estendono fino alla troposfera. I cicloni termici si originano per il forte riscaldamento di alcune aree rispetto a quelle circostanti: ad esempio le depressioni che nelle giornate si formano sulla terraferma rispetto al mare, oppure sui rilievi rispetto alle zone di pianura. Sono responsabili delle brezze marine e montane. Questi cicloni sono costituiti da aria più calda di quella circostante e la circolazione ciclonica si interrompe tra i 2000 ed i 4000 m di quota, per esser qui sostituita da circolazione anticiclonica. I cicloni orografici sono le aree di bassa pressione che si generano sottovento ad una catena montuosa investita perpendicolarmente da forti correnti d’aria. Più spazio dedichiamo ai cicloni tropicali, quelli forse più conosciuti, e sicuramente più temuti, per i loro devastanti effetti: hanno diametro che va dai 300 ai 1500 Km, un ciclo di vita tra i 3 ed i 15 giorni, sono accompagnati da piogge torrenziali e, nella fascia tra 30 e 60 Km dal loro centro, da venti che soffiano a 150-200 Km orari. Il nome con cui vengono indicati cambia a seconda dell’aria geografica in cui si originano o su cui si abbattono: Tifone nel Pacifico Occidentale, Uragano nel Nord America, Ciclone nell’Oceano Indiano, Willy-Willy in Australia. La loro immensa energia è dovuta alle grandi quantità di calore rilasciate nell’atmosfera dalla condensazione di enormi quantità di vapor acqueo, il quale viene sottratto agli oceani della fascia tropicale dall'intenso riscaldamento solare. Infatti, quando la superficie dell’oceano supera i 25°C, l’aria degli strati più bassi, surriscaldata dall'acqua, diviene più leggera di quella circostante ed è sospinta verso l’alto, condensando così sotto forma di nubi l’elevato contenuto in vapore. Si forma così un muro di nubi, mentre la grande quantità d’aria pompata verso l’alto fa sì che si generi una profonda depressione, la quale richiama aria calda ed umida dalle zone circostanti. Queste nuove masse d’aria, costrette a sollevarsi in prossimità del muro di nubi, contribuiscono ad alimentare il ciclone, mentre la rotazione terrestre imprime a tutto il sistema il classico moto rotatorio. Parte dell’aria risucchiata nell’occhio del ciclone ricade verso la zona centrale e, riscaldandosi per compressione nel moto di discesa, dissolve le nubi in formazione: ecco perché nel centro del ciclone una zona di 15-30 Km di diametro, appunto l’occhio del ciclone, risulta sgombra da nubi e caratterizzata da venti poco intensi. I cicloni tropicali si sviluppano tra i 5° ed i 20° di latitudine, dove il riscaldamento delle acque oceaniche è maggiore, ma non nelle zone prossime alla fascia equatoriale: qui difatti sono trascurabili gli effetti della rotazione terrestre, e vien perciò a mancare la spinta necessaria ad imprimere alle masse d’aria il caratteristico moto rotatorio attorno al centro di bassa pressione. |
Ciclone Extratropicale | Tutti conoscono bene la differenza di insolazione che passa tra equatore e poli. La differenza di temperatura tra aree equatoriali e calotte polari determina la formazioni di tre grandi blocchi di aria omogenea: due sulle calotte polari , freddi e poveri in umidità e uno tra i due tropici caldo e ricco di vapore acqueo. L'atmosfera non è altro che un enorme macchina termica che provvede al trasporto di calore dall'Equatore verso i Poli. Come ciò avvenga e le conseguenze di tutto questo sono in fondo abbastanza singolari. La linea di demarcazione, al suolo, tra aria tropicale e polare viene detta fronte polar. Ora il fronte, in realtà non è una rigida ed immobile barriera, ma a causa delle forzate e improvvise deviazioni di percorso introdotte dalle catene montuose, o dall'alternarsi di oceani e continenti, risulterà piuttosto una linea percorsa da ampie ondulazioni prodotte da spinte alternate dell'aria tropicale verso nord-est e dell'aria polare verso sud-ovest. Avremo, così, che sul lato destro della cresta dove l'aria calda sale verso latituni maggiori si creerà un fronte caldo, mentre a sinistra dove è invece l'aria fredda a premere avremo un fronte freddo. Le ondulazioni, una volta innescatesi, tendono a divenire man mano più ampie, e ai vertici delle lingue calde, l'aria comincerà ad invorticarsi in senso antiorario e ad innalzarsi costretta dall'aria fredda più densa: si creerà, in tal modo, un vortice depressionario. A tali depressioni che si muovono alle medie latitudini, nella fascia delle correnti occidentali, viene dato il nome di cicloni extratropicali, o anche di depressioni mobili, per distinguerli dalle depressioni stazionarie della fascia equatoriale o del circolo polare. Le depressioni originate dalle ondulazioni del fronte polare si presentano quasi sempre in gruppi da 3 a 5 membri, in cui ogni ciclone della famiglia scorre a latitudini sempre più basse di quello che lo precede. L'ultimo della serie è seguito da un anticiclone (al vertice della lingua d'aria fredda si produrrà, specularmente a quanto avviene per l'aria calda, un'alta pressione), anch'esso mobile, detto di chiusura, al quale è associata una consistente irruzione di aria fredda verso le basse latitudini. I cicloni extratropicali che interessano l'Europa si originano in aree abbastanza precise, ove il contrasto termico dell'aria tropicale che sale e di quella polare in discesa è più marcato. Normalmente tali zone, dette ciclogenetiche (cioé di formazione dei cicloni), si identificano con l'Isola di Terranova, le coste meridionali della Groenlandia e le zone circostanti l'Islanda. Tuttavia ha grande influenza sull'origine e sul successivo moto delle famiglie di cicloni extratropicali la posizione relativa delle aree depressionarie fisse del nord Atlantico e dell'Anticiclone delle Azzorre. Il maltempo sull'Italia non è portato solo da questo tipo di perturbazioni; anzi, molto spesso sono depressioni che si originano all'interno del Mediterraneo a portare la pioggia sulla nostra penisola, ed anche in abbondanza . Il Mediterraneo è una culla ideale per la formazioni di depressioni mobili e sistemi frontali del tutto simili a quelli che nascono in seno al fronte polare. Infatti, mediamente le acque superficiali del Mediterraneo superano di circa 4°C quelle dell'oceano alla stessa latitudine: avviene così che le irruzioni di aria fredda, più probabili in autunno e primavera, producano quel contrasto termico sufficiente all'innescarsi di un ciclone. Tipiche a tale riguardo sono le depressioni che si sviluppano in prossimità delle Isole Baleari e lungo le coste del Nordafrica. Un'altro esempio caratteristico delle depressioni che interessano l'Italia sono i cicloni di origine orografica: vale a dire quelle aree di bassa pressione che si generano sottovento alle catene montuose quando queste vengono investite perpendicolarmente da veloci correnti. Il riferimento è ovviamente alla depressione che si crea sul Mar Ligure quando le Alpi centro-occidentali sono interessate da forti correnti di maestrale. Questo tipo di configurazione barica è particolarmente significativo, in quanto determina piogge,anche molto abbondanti, sulle regioni dell'alto. Ma come si sviluppano i cicloni extratropicali? Il maltempo che, soprattutto nelle stagioni intermedie ed in quella invernale, colpisce vaste aree alle nostre latitudini è apportato dai cosiddetti "cicloni extratropicali" (o depressioni mobili). La causa diretta dello sviluppo di questi sistemi, a volte forieri di piogge intense per molti giorni consecutivi anche sull’Italia, è la parziale fuoriuscita orizzontale d’aria ("divergenza") in corrispondenza dei rami sudoccidentali della corrente a getto polare, una sorta di velocissimo fiume d’aria che scorre, con ampie ondulazioni, da ovest verso est, lungo la linea di confine tra l’aria fredda polare e quella calda subtropicale, al limite della tropopausa, intorno ai 10 km di quota. La divergenza nell’alta atmosfera, genera a sua volta una diminuzione della pressione al suolo ed un risucchio di aria verso l’alto per colmare il vuoto lasciato dalla fuoriuscita. Le masse d’aria che convergono orizzontalmente verso la depressione al suolo per sostituire quelle che si sollevano, nel nostro emisfero vengono deviate verso destra dalla forza di Coriolis, e di conseguenza acquistano una rotazione antioraria intorno al centro di bassa pressione. Tale moto rotatorio ciclonico favorisce le invasioni di aria calda verso le zone occupate da aria fredda (fronte caldo) e le irruzioni di aria fredda verso le regioni occupate da aria più calda (fronte freddo). Nascono così i cicloni extratropicali, le tipiche depressioni mobili che accompagnano i fronti. |
Cicloni termici | Uno dei possibili meccanismi in grado di generare un’area di bassa pressione in una porzione di atmosfera è il diverso riscaldamento della superficie terrestre da parte dei raggi solari. La zona equatoriale, ad esempio, è caratterizzata dalla costante presenza di basse pressioni che formano una sorta di cintura attorno al globo resa visibile, attraverso le immagini dei satelliti meteorologici, dalle imponenti nubi cumuliformi che vi si sviluppano quotidianamente; infatti la cosiddetta Zona Torrida, compresa tra i due tropici, risulta essere l’area maggiormente riscaldata della Terra e le depressioni che si formano al suo interno sono dovute proprio all'eccesso di energia termica capace, fra l’altro, di innescare poderosi moti ascensionali dell’aria che sono strettamente legati alla circolazione generale dell’atmosfera. Ma per quale motivo questo meccanismo provoca un abbassamento della pressione? La spiegazione è piuttosto semplice. La pressione atmosferica in un qualsiasi punto della superficie terrestre è prodotta dal peso della colonna di aria sovrastante; se in quel punto l’aria viene scaldata si verifica un calo della sua densità: in pratica, a parità di volume occupato, l’aria pesa di meno. Nello stesso tempo, a causa del fatto che tra due fluidi mescolati quello più leggero tende ad occupare i livelli superiori e viceversa, si genera un moto ascensionale dell’aria la quale, raggiunta la sommità, diverge spostandosi definitivamente da quella verticale. Facendo i conti l’aria che sfugge dall'alto va a sottrarsi all'intera colonna sottostante; risultato: sopra quel punto meno quantità d’aria, meno peso e quindi pressione inferiore rispetto alle zone adiacenti. Una caratteristica peculiare di queste strutture bariche è che, a differenza dei cicloni di origine dinamica (come quelli che interessano normalmente l’Italia), ai livelli superiori si genera un’area anticiclonica: infatti, come si è detto, sopra la colonna l’aria diverge proprio come all'interno delle alte pressioni. Le dimensioni tipiche di tali strutture vanno dalle centinaia alle migliaia di chilometri; di conseguenza si comportano come tutte le aree cicloniche con i movimenti dell’aria a spirale attorno al centro. Per tale motivo vengono chiamati CICLONI e, siccome sono generati dal riscaldamento solare, si definiscono TERMICI. Monsoni e brezze sono fenomeni a scale differenti causati da questo stesso meccanismo: nella stagione calda (per i monsoni estivi) o durante le ore più calde del giorno (per le brezze diurne) la terraferma o la cima dei monti si scalda maggiormente rispetto al mare o al fondovalle; di conseguenza, su queste aree, si crea una bassa pressione in grado di risucchiare aria dal mare o dalla valle. Nel caso del monsone estivo la grande quantità d’aria umida richiamata dall’oceano provoca la famosa stagione delle piogge; si hanno esempi eclatanti nel sud-est asiatico. In maniera inversa si riscontrano i medesimi meccanismi durante la stagione fredda per i monsoni e nella notte per le brezze, quando il mare o il fondovalle risultano più caldi della terraferma o la cima dei monti. |
Cielo: perchè è azzurro? | Fin da bambini abbiamo imparato ad osservare il colore del cielo ed a rappresentarlo sui nostri scarabocchi attraverso tinte che vanno dall'azzurro chiaro al blu scuro, comunque sempre nelle varie tonalità del colore blu. Ci siamo mai chiesti il motivo per cui durante il giorno il cielo, quando è sereno, assume quella colorazione mentre di notte è nero e si possono vedere tutte le stelle? E poi perché al tramonto e all’alba il sole ci appare di colore arancione - rosso? Sembrerà strano ma entrambe le questioni vengono spiegate attraverso il medesimo fenomeno della fisica ottica: l’interazione dei raggi solari con tutte le particelle che compongono l’atmosfera. I raggi che ci arrivano dal sole sono di colore bianco: il bianco non è altro che la combinazione di tutti i colori, quindi si può dire che dal sole ci arrivano tutti i colori "mescolati" nello stesso raggio di luce. Questa miscela di colori arriva compatta fino al limite esterno dell’atmosfera; una volta penetrata al suo interno subisce deviazioni ed attenuazioni più o meno pronunciate a seconda dello spessore dello strato atmosferico attraversato e della concentrazione dei vari costituenti dell’aria (un po’ come una pallina all’interno di un flipper). La fisica ci spiega che, tra le varie componenti del raggio di luce, quella di colore azzurro - blu subisce, nell’urto con le particelle atmosferiche, deviazioni maggiori rispetto alle altre componenti scorporandosi dal raggio solare e sparpagliandosi per tutto il cielo. I vari raggi azzurri/blu vengono poi riflessi in ogni direzione e la parte che raggiunge i nostri occhi ci fa apparire il cielo di colore azzurro mentre il resto dei raggi prosegue quasi indisturbato in linea retta. L’effetto di sparpagliamento dei raggi azzurri è talmente intenso da non consentire la visione delle stelle mentre di notte, come si sa, tutto il firmamento è visibile proprio a causa del fatto che mancano i raggi solari da sparpagliare; se non ci fosse l’atmosfera avremmo la possibilità di vedere tutto il cielo stellato e nero anche di giorno con il disco bianco intenso del sole in mezzo, proprio come capita sulla Luna. Durante un tramonto o un’alba i raggi solari devono attraversare uno strato di spessore molto maggiore per giungere a noi rispetto a quando il sole si trova alto nel cielo; durante questo tragitto, quindi, non è solo la componente azzurra/blu a subire deviazioni ed attenuazioni ma anche molte altre lasciando nel raggio principale solo le tonalità dal giallo all’arancione fino al rosso: per tale motivo il sole assume queste colorazioni e, se si fa caso, anche quando la Luna si trova vicina all’orizzonte si presenta allo stesso modo proprio perché i raggi solari che essa riflette subiscono lo stesso processo fisico. |
Circolazione di Walker | Il diseguale riscaldamento di zone diverse del nostro pianeta dà luogo allo spostamento di grosse masse d’aria, in modo tale che il calore ricevuto dal sole tenda a distribuirsi in maniera omogenea nell’atmosfera. All’interno di queste grandi strutture che regolano la circolazione atmosferica a livello planetario si inseriscono poi quei fenomeni che caratterizzano il tempo su scala più ridotta (cicloni mobili, fronti freddi e caldi, etc. ). Se la più importante ed estesa delle grandi strutture a livello planetario è la Circolazione di Hadley, che divide ciascun emisfero in tre grandi fasce (dall’equatore ai 30° di latitudine, dai 30° ai 60° di latitudine, dai 60° di latitudine al Polo), grande importanza ha anche la Circolazione di Walker, che divide la fascia equatoriale in tre grandi celle convettive con direttrice ovest-est. Tali grandi celle convettive sono situate una sull’Oceano Pacifico, una sull’Oceano Atlantico, ed una sull’Oceano Indiano. In ciascuna di queste celle l’aria sale nel ramo occidentale, ove le acque oceaniche sono più calde, per poi ridiscendere lungo il ramo orientale. Nell’ascesa sul lato occidentale le masse d’aria raggiungono anche i 12 km di altezza, con conseguente sviluppo di molte nubi temporalesche ed abbondanti precipitazioni; le intense correnti ascensionali si trovano sulla verticale di Indonesia ed Australia, dell’Amazzonia, e dell’Africa Centrale. L’aria che invece discende sul lato orientale della cella risulta particolarmente secca, anche a causa del fenomeno di subsidenza: è in queste zone, tra l’altro, che si trovano alcune delle maggiori aree desertiche del pianeta. La cella sull’Oceano Pacifico risulta più estesa delle altre due, in quanto è maggiore il gradiente termico tra il suo ramo occidentale e quello orientale. L’enorme quantità di energia, necessaria ad alimentare le tre celle di Walker, è fornita dalle grandi quantità di calore liberate nel processo di condensazione in atto nei rami ascendenti. Variazioni alla Circolazione di Walker si osservano in concomitanza con episodi di Niño, fenomeno che comporta tra l’altro una diminuzione della differenza di temperatura tra le acque superficiali del Pacifico Occidentale e del Pacifico Orientale. |
Circolazione generale dell'atmosfera | L’inclinazione dell’asse di rotazione terrestre rispetto al piano dell’orbita apparente che il Sole compie intorno alla Terra in un anno, fa sì che le zone equatoriali ricevano durante l’anno una quantità di calore dal Sole superiore a quella riemessa verso lo spazio. Al contrario ai Poli il bilancio tra calore ricevuto e calore perso è negativo. Sulla base di queste indicazioni, si potrebbe arrivare a concludere che la temperatura media all’Equatore è in continuo aumento, mentre ai Poli è in graduale diminuzione. Invece tutto ciò non accade: la temperatura media all’Equatore o ai Poli non presenta una netta tendenza all’aumento o al calo (negli ultimi 50 anni si è in realtà misurato un rialzo della temperatura media del nostro pianeta di qualche frazione di grado, ma lo si tende a collegare all’effetto serra). Questo significa che deve esistere un metodo per ridistribuire il calore che la Terra riceve dal Sole. Gli oceani e l’atmosfera sono i due mezzi tramite i quali il calore viene trasportato dalle zone equatoriali a quelle polari. Vediamo in questo paragrafo il contributo dell’atmosfera. Il primo modello che cercò di spiegare come avviene tale trasporto è noto come circolazione di Hadley, dal nome del fisico che per primo lo introdusse nel 1735. In tale modello si fa l’ipotesi di poter trascurare la rotazione terrestre, che, come vedremo più avanti, comporta in realtà sostanziali variazioni al modello di Hadley. Il calore assorbito dalla Terra intorno all’Equatore scalda le masse d’aria soprastanti, le quali, dilatandosi, diventano meno dense, più leggere e salgono verso le alte quote della troposfera. Questa risalita d’aria genera alle basse quote una zona di bassa pressione, mentre in quota l’apporto di aria dagli strati sottostanti crea una zona di alta pressione. Ai Poli invece il bilancio termico negativo genera un raffreddamento dell’aria che, più densa, si porta dagli strati superiori, dove si crea una zona di bassa pressione, verso il suolo, dove al contrario si genera un’alta pressione. Quindi al suolo masse d’aria fredda vengono spinte dall’alta pressione polare verso la bassa pressione equatoriale, mentre in quota aria calda viene spinta dalle alte pressioni equatoriali verso le basse pressioni polari. Questo modello teorico è sì in grado di spiegare la ridistribuzione del calore, ma non rispecchia ciò che accade nella realtà, dove non si osserva una circolazione delle masse d’aria tra i Poli e l’Equatore lungo i meridiani, come descritto. La rotazione terrestre ha infatti l’effetto di deviare verso destra le masse d’aria in movimento nell’Emisfero Boreale e verso sinistra quelle nell’Emisfero Australe (in fisica questa spinta verso destra o sinistra prende il nome di forza di Coriolis). La deviazione delle masse d’aria dà all’atmosfera terrestre una dinamica differente da quella prevista da Hadley, dinamica che va sotto il nome di circolazione generale dell’atmosfera. Così le masse d’aria, dopo essere salite in quota all’Equatore, non riescono ad arrivare fino ai Poli: intorno ai 30° di latitudine riscendono verso il suolo, dando origine a una fascia di alte pressioni subtropicali, in corrispondenza delle quali si trovano i deserti più estesi del pianeta. Intorno ai 60° gradi di latitudine si trova invece una fascia di basse pressioni, dove l’aria sale fino alle quote superiori, per poi raggiungere i Poli. A questa fascia di basse pressioni appartiene ad esempio il Ciclone d’Islanda, che è tra i principali responsabili delle condizioni meteorologiche sull’Europa. Questo modello, che rispetto al quello di Hadley trova effettivamente riscontro nelle osservazioni, non va però inteso come immobile: quella descritta è solo una situazione media. Non è infatti raro che il Ciclone d’Islanda si spinga con profonde saccature fino alle latitudini del Mediterraneo o che l’Anticiclone delle Azzorre raggiunga le isole britanniche. |
Cirri | ( sigla: Ci ) Il cirro è una nube alta, si forma oltre i 6 km, è composta da cristalli di ghiaccio e può assumere vari tipi di forma: filamenti isolati, batuffoli, strato compatto ma semitrasparente. Si possono presentare a forma di ricciolo, di virgola o di piuma; il loro colore è generalmente bianco e la colorazione può essere più o meno brillante, se li osservate al sorgere o al tramonto del sole. Distinguerete i cirri di bel tempo da quelli che preludono al cattivo tempo sia per il diverso aspetto, sia per la velocità di spostamento. I cirri di "bel tempo" li noterete alti nel cielo, si sposteranno lentamente; la loro forma sarà irregolare e l'estensione limitata. I cirri di "cattivo tempo" sono disposti parallelamente e coprono tutto il cielo; quando la depressione si avvicina, si muovono ad elevata velocità. |
Cirrocumuli | ( sigla: Cc ) Li riconoscerete subito, perché vedrete il cielo con la classica conformazione "a pecorelle". Generalmente le noterete raggruppate a strisce, ma si potranno presentare anche a banchi, con forme differenziate, lamelle, granuli, crespe, ecc.. I loro colori sono brillanti. Sono nubi premonitrici, quando le vedete di norma sono sintomo che una perturbazione si sta avvicinando. |
Cirrostrati | ( sigla: Cs ) La loro presenza determina come un velo invisibile e delicato, che vi consentirà di vedere perfettamente i contorni di quanto è presente. Possono presentarsi avendo già invaso tutto il cielo, o come un alone sull'orizzonte che piano piano tende a crescere. Molto spesso nella loro formazione seguono i cirri, per cui potrete vedere nella parte inferiore del sistema nuvoloso i cirrostrati ed alla sommità i cirri. Indicano l'avvicinarsi di una perturbazione se si presentano dopo i cirri. |
Clima | Con questo termine si definisce la media delle situazioni meteorologiche in una data regione ed in un determinato periodo di tempo. Di solito i climi vengono divisi in quattro grandi gruppi: i climi locali (determinati da fattori specifici propri di una località ben individuata, come una città o un golfo), i climi regionali (riferiti a zone delimitate da caratteristiche geografiche), i climi zonali (determinati dalla circolazione generale dell'atmosfera) ed i microclimi. I fattori che condizionano il clima sono: • latitudine • altitudine • distanza dal mare • esposizione al sole • esposizione ai venti • correnti marine. Tra le diverse classificazioni climatiche proposte, quella di Wladimir Köppen ha avuto largo consenso. Essa comprende 11 principali tipi di clima: • Af clima tropicale senza stagione secca, • Aw clima tropicale con inverno secco, • BS clima secco della steppa, • BW clima secco del deserto, • Cf clima temperato senza stagione secca, • Cs clima temperato con estate secca, • Cw clima temperato con inverno secco, • Df clima boreale senza stagione secca, • Dw clima boreale con inverno secco, • ET clima freddo della tundra, • EF clima freddo del gelo perenne. |
Climatologia | Branca della fisica dell’atmosfera che studia i vari fattori fisici e chimici che determinano il clima. |
Compattazione | Riduzione di spessore degli strati superficiali del manto nevoso causata da agenti meccanici esterni (quale, ad esempio, il vento). |
Compressione adiabatica | Fenomeno che si verifica in atmosfera quando una massa d'aria è costretta a scendere di quota. Incontrando strati a pressione più alta, la massa d'aria subisce una compressione senza scambiare calore con l'aria circostante (processo adiabatico) e quindi si riscalda. Un esempio di compressione adiabatica si ha quando si verifica il foehn. |
Condensazione | Processo che trasforma l'acqua dallo stato di vapore allo stato liquido. In atmosfera la condensazione permette la formazione delle nubi. Le nubi del cielo così come le nebbie e le brine devono la loro origine al fenomeno della condensazione. Una massa d’aria può condensare per due motivi: o per immissione di vapore acqueo o per raffreddamento. Quasi tutti i giorni abbiamo davanti ai nostri occhi esempi di condensazione di entrambi i tipi. La formazione della nuvolosità è uno di questi. Le nubi si formano sostanzialmente per sollevamento di masse di aria che può verificarsi per diversi motivi; in ogni caso il sollevamento comporta un raffreddamento dell’aria ed è questo che provoca la condensazione. Infatti, man mano che la temperatura dell’aria in ascesa diminuisce, è minore anche la quantità di vapore che può essere contenuta nella massa d’aria fino a che non vengono raggiunte le condizioni di saturazione: il vapore acqueo presente è il massimo che la massa d’aria può contenere. Se la temperatura si abbassa ancora, il vapore incomincia a condensare ed inizia così la formazione della nube. Anche la nebbia per irraggiamento si forma a causa del raffreddamento degli strati di aria prossimi al suolo; infatti, durante la notte, il suolo perde calore per irraggiamento raffreddandosi. Il conseguente abbassamento di temperatura dell’aria innesca il processo di condensazione descritto sopra. E’ possibile, inoltre, che si formino nebbie per sollevamento delle masse d’aria lungo pendii, oppure quando una massa d’aria calda si sposta su una superficie più fredda. In ogni caso è sempre il raffreddamento dell’aria e la conseguente saturazione a provocare il fenomeno. Per lo stesso motivo si forma la rugiada: si tratta di condensazione dell’acqua sopra la vegetazione che riveste il suolo, soprattutto nelle notti serene, quando il raffreddamento è maggiore. Quando il suolo si raffredda molto fino a temperature al di sotto di quella di congelamento dell’acqua si può avere la formazione di cristalli di ghiaccio sopra le superfici ossia la brina. Come accennato, anche l’immissione di vapore può provocare la condensazione, senza, quindi, che la temperatura dell’aria diminuisca. Un esempio di ciò sono le nebbioline che si possono osservare su terreni molto umidi, ad esempio dopo giorni di pioggia: il suolo fornisce vapore in grande quantità agli strati d’aria adiacenti ad esso, al punto che l’elevato contenuto di acqua allo stato gassoso produce saturazione. Anche masse d’aria su distese d’acqua, in particolari condizioni, possono arricchirsi di vapore e condensare. |
conferenze meteo | |
Consolidamento | Risultato dell’effetto combinato di vari fenomeni (metamorfismo, assestamento) che porta ad un aumento della stabilità del manto nevoso. |
Convergenza | Con questo termine s'identifica generalmente il conflitto tra venti di natura e provenienza opposte, come, ad esempio, la fredda e secca Tramontana scura in discesa dalla Pianura Padana, e il caldo e umido Scirocco, in risalita dal mar Tirreno. L'incontro/scontro tra queste due differenti masse d'aria è spesso causa della formazione di linee di fenomeni (piovosi/nevosi), e se le condizioni le consentono, anche di episodi temporaleschi. La più o meno staticità di tali manifestazioni è direttamente proporzionale all'equilibrio di spinta che si viene ad instaurare tra le due correnti in conflitto. |
Copertura del cielo | Frazione di cielo coperto da nubi, visibile dalla stazione di rilevamento. La copertura del cielo è misurata in ottavi o in percentuale. Si può distinguere in copertura di nubi basse, medie o alte, se, nel calcolo della frazione, si tiene conto rispettivamente delle sole nubi basse, medie o alte. Si dice copertura totale quando si tiene conto di tutti i tipi di nube presenti. A seconda del valore della copertura totale si usa attribuire al cielo i seguenti aggettivi: sereno (zero copertura), poco nuvoloso (da due a quattro ottavi di copertura), nuvoloso (da cinque a sei ottavi di copertura), molto nuvoloso (sette ottavi), coperto (otto ottavi). |
Coriolis | Scienziato francese del XIX secolo il cui nome è stato dato alla forza apparente che si manifesta sui corpi in movimento su un sistema in rotazione. La rotazione della Terra attorno al proprio asse provoca una forza di Coriolis su tutte le masse d'aria in movimento. Tale forza è più o meno intensa a seconda della latitudine e della velocità di spostamento della massa d'aria; il suo effetto è di deviare la direzione di spostamento della massa d'aria, a destra nell'emisfero boreale e a sinistra in quello australe. La forza di Coriolis è nulla all'equatore e massima ai poli. La forza di Coriolis assieme alla forza di gradiente è responsabile del moto orario o antiorario dell'aria attorno ai centri di alta o bassa pressione (anticicloni, cicloni). |
Corrente a getto | In inglese "jet stream", è una corrente d'aria con venti molto intensi (superiori a 120 km/h) che si trova nell'atmosfera ad una quota di circa 6 - 10 km di altezza. Sono presenti due getti principali in ogni emisfero: quello subtropicale che corre intorno al parallelo 35° e quello polare intorno ai 60° di latitudine. Ambedue i getti sono composti da correnti che girano intorno alla Terra da W a E creando, specie nel getto polare, ampie oscillazioni longitudinali e ramificazioni. Quando i due getti si avvicinano si possono creare zone di forti perturbazioni al suolo. |
Crosta da fusione e rigelo | Strato superficiale che si forma per l’alternarsi di temperature elevate che causano la fusione della neve e temperature basse che favoriscono il successivo congelamento. |
Crosta da vento | Strato di neve di scarso spessore, piuttosto resistente, che si forma sui versanti sopravento per effetto della pressione esercitata dal vento stesso. |
Cumulo | ( sigla: Cu ) Il cumulo è una nube bassa, bianca, con base piatta e sommità a forma di cupola. Hanno dimensioni diversificate: piccole e rade, come generalmente si presentano lungo la costa; o grosse, a base orizzontale, con la sommità più o meno elevata, sagomata a cupola con protuberanze estese sopra. Quando lo sviluppo verticale non è grande, assumono la forma di batuffoli di cotone o di lana, il loro colore è normalmente grigio chiaro alla base, mentre la sommità è bianca e accesa. Se l'orizzonte è ben visibile e il cielo azzurro intenso, se li vedete bassi e piccoli a forma di batuffoli di cotone o di lana, bianchi alla sommità e grigi alla base (come se qualcuno li avesse presi e, dopo averli appoggiati in un luogo pieno di polvere, li avesse rialzati, portandoli circa all'altezza degli occhi), sono "nubi di bel tempo"; se invece la loro estensione verticale è più sviluppata, vi potreste trovare in una situazione di "bel tempo" (postfrontale) quando sotto le nubi riuscite a vedere l'orizzonte sgombero e sopra il cielo ben visibile, viceversa il tempo può preludere a"rovesci" più o meno forti, se l'orizzonte e il cielo vi si presenteranno grigi e neri. |
Cumulonembi | (Sigla Cb) I cumulonembi sono le nubi a maggior sviluppo verticale: alle nostre latitudini riescono ad estendersi da quote relativamente basse (1000 metri) fino ai limiti della troposfera a 10-12 km. Si formano per rapida condensazione del vapore acqueo contenuto nell’atmosfera; tale condensazione è provocata dal raffreddamento che una massa d’aria subisce quando è costretta a salire a quote superiori. Il meccanismo che innesca la nascita di un cumulonembo è quindi il sollevamento di una massa d’aria umida, che espandendosi durante la salita si raffredda, portando alla condensazione del vapore. Il sollevamento dell’aria, a sua volta, può essere indotto o dalla presenza di un pendio (raffreddamento di tipo orografico) o dall’incuneamento di masse d’aria fredda pesante sotto aria più calda e leggera (raffreddamento di tipo frontale) o dal riscaldamento di una massa d’aria a contatto con il terreno scaldato dal sole nelle ore centrali di una giornata primaverile o estiva. La condensazione a cui è soggetto il vapore acqueo durante la salita genera calore che riscalda la massa d’aria interessata, facilitandone così la stessa salita. I moti ascendenti possono essere così intensi (fino anche a 15-20 m/s) che bastano 10-20 minuti perché un cumulonembo si formi. Nubi così imponenti sono sempre associate a fenomeni temporaleschi, che in genere sviluppano energie enormi e danno luogo a piogge intense. Fortunatamente si tratta nella maggior parte dei casi di nubi dalla vita molto breve, anche poche decine di minuti; il loro rapido dissolvimento è legato alla veloce diminuzione del numero di goccioline e di cristalli di ghiaccio che le formano, sia per effetto della precipitazione vera e propria, sia per effetto dell’evaporazione facilitata dalle veloci correnti d’aria discendenti che soffiano all’interno nella nube durante la fase di pioggia. Non tutta la pioggia che cade da un cumulonembo riesce a raggiungere il terreno: le gocce che abbandonano la base della nube sono anch’esse soggette a evaporazione e si è stimato che solo il 50% dell’effettiva quantità di gocce di pioggia che si sono formate all’interno della nube riesce ad arrivare al suolo. L’evaporazione delle gocce di pioggia durante la caduta causa un raffreddamento dell’aria al di sotto della base della nube; si formano così masse d’aria più fredda e pesante che precipitano al suolo dando luogo a venti freddi e violenti che anticipano e accompagnano un qualunque temporale. In molti casi queste correnti fredde di caduta si incuneano sotto aria più calda presente nei bassi strati, la sollevano e possono dare origine a una nuova cella temporalesca. Un’altra caratteristica dei cumulonembi è la loro forma: quando si formano isolati in una calda giornata primaverile o estiva, si può riconoscere una struttura a "enorme cavolfiore" che si gonfia ora da una parte ora dall’altra anche a vista d’occhio. Una volta raggiunto il pieno sviluppo, quando la sua cima è arrivata fino al limite della troposfera, la parte alta si allarga spinta da veloci correnti divergenti che danno alla nube la tipica forma a incudine. Per finire ricordiamo che la grandine è un fenomeno solitamente associato alla presenza di cumulonembi, il che li rende i corpi nuvolosi più "pericolosi" alle nostre latitudini. È da ritenersi una nube pericolosa per la navigazione, sicuramente la più pericolosa: la sua presenza è causa scatenante di una situazione di venti di groppo, che vede generarsi un altrettanto "caotico moto ondoso". Si accompagna con manifestazioni temporalesche. |
Cuscino freddo | Con detto termine s'identifica lo stagnamento di aria fredda nei bassi strati della Pianura Padana. Si tratta di un fenomeno tipicamente invernale, che trova la sua ragion d'essere nell "irraggiamento terrestre notturno" e nell' "inversione termica". Questo deposito di aria fredda, che sappiamo essere più pesante e densa di quella calda, causa un incremento della pressione in loco, rispetto alle aree immediatamente circostanti ("naso padano"). |
Desertificazione | Trasformazione progressiva di un terreno vegetato in deserto per degenerazione climatica o geologica o, anche, per l'azione dell'uomo nei casi di deforestazione, eccessivo sfruttamento di terreni agricoli, errata gestione di risorse idriche. Ogni anno nel mondo circa 6 milioni di ettari (il doppio della superficie del Belgio) subiscono un processo irreversibile di desertificazione ed altri 20 milioni di ettari ne sono interessati. |
Distacco | Rottura delle condizioni di equilibrio meccanico del manto nevoso, sottoposto a forze di varia natura, che dà origine alla caduta di una valanga. Il distacco definito accidentale (o provocato) è dovuto ad un involontario intervento esterno dell’uomo (es: sovraccarichi dovuti al transito di uno sciatore). Il distacco definito artificiale (o volontario) è dovuto ad un deliberato intervento dell’uomo, attuato con mezzi tecnici idonei (es: esplosivi). Il distacco definito naturale (o spontaneo) è dovuto sia a cause interne al manto nevoso sia ad influenze esterne indipendenti dalla presenza dell’uomo (es: metamorfismo, caduta di cornici) |
Distribuzione delle precipitazioni | Le precipitazioni che si verificano in conseguenza di una perturbazione possono interessare tutto un territorio o soltanto limitate porzioni: nel primo caso si tratterà di precipitazioni diffuse, mentre nel secondo avremo precipitazioni sparse. |
Efetto serra | Fenomeno per cui l'energia ricevuta dal sole ed emessa (in prevalenza come radiazione infrarossa) dalla superficie terrestre verso lo spazio viene parzialmente assorbita da alcuni gas presenti nell'atmosfera e da questi irradiata nuovamente verso la terra. In questo modo viene ritardata la dispersione di energia termica e si instaura una temperatura media alla superficie terrestre maggiore di quella che si verifica in assenza di atmosfera. Quando il sistema terra-atmosfera è in equilibrio termico, e cioè quando la sua temperatura media non cambia, la radiazione solare assorbita è uguale a quella infrarossa emessa. Il flusso infrarosso uscente tende a diminuire in relazione all'aumento di concentrazione di gas come vapore d'acqua, anidride carbonica e ozono, per cui la compensazione con la radiazione solare può avvenire solo se la temperatura al suolo aumenta. Il graduale aumento dell'anidride carbonica nell'atmosfera (15% in più del secolo scorso) provoca un aumento dell'effetto serra e quindi un aumento della temperatura sulla superficie terrestre. L'unico modo per controllare l'effetto serra è quello di ridurre l'impiego di combustibili fossili. |
Equitemperatura | E’ quella condizione in cui si trova il manto nevoso quando lungo il profilo verticale si misurano temperature poco dissimili fra loro (gradiente < 0.1 C°/cm). In questo caso il trasporto di aria caldo-umida per avvezione non si verifica ed è quindi impedito il metamorfismo costruttivo. Si potranno verificare soltanto il metamorfismo distruttivo o il metamorfismo di fusione, più o meno accelerati a seconda dell’apporto esterno di calore. |
Escursione termica | E’ la differenza fra il valore massimo e il valore minimo della temperatura misurati in un determinato lasso di tempo. Solitamente è riferita all’arco delle 24 ore. |
Escursione termica annuale | E' la differenza tra la temperatura media del mese più caldo e la temperatura media del mese più freddo. |
Esposizione | E’ la giacitura di un sito rispetto a determinati parametri quali orientamento, insolazione, venti. - ESPOSIZ. AI QUADRANTI SETTENTRIONALI: è caratteristica dei versanti rivolti a NW, N e NE. - AI QUADRANTI ORIENTALI: è caratteristica dei versanti rivolti a NE, E e SE - AI QUADRANTI MERIDIONALI: è caratteristica dei versanti rivolti a SE, S e SW. - AI QUADRANTI OCCIDENTALI: è caratteristica dei versanti rivolti a SW, W e NW. - AL SOLE: è caratteristica dei versanti che ricevono una elevata quantità di radiazione solare diretta nel corso della giornata. - IN OMBRA: è caratteristica dei versanti che ricevono una ridotta quantità di radiazione solare diretta nel corso della giornata. -SOPRAVENTO: è caratteristica dei versanti esposti all’azione del vento dove la velocità dello stesso aumenta per il restringersi della sezione di flusso. Mentre orientamento è fisso, l’esposizione al vento non lo è, proprio per la variabilità di questo fattore. Possibili effetti dell’azione del vento in questi versanti sono l’ablazione, tanto più facile quanto la neve è a debole coesione e la formazione di croste da vento. -SOTTOVENTO: è caratteristica dei versanti opposti a quello sopravento, dove la velocità del vento diminuisce per effetto dell’allargamento della sezione di flusso. Sulla cresta di divisione dei due versanti è possibile la formazione di cornici di neve, mentre al piede di queste si formano depositi che, a seconda della velocità di deposizione e del tipo di neve in sospensione, possono essere accumuli di neve incoerente oppure lastroni. |
Evaporazione | Processo di trasformazione dell'acqua dallo stato liquido a quello gassoso. |
Fahrenheit | La scala di Fahrenheit, dal nome di Gabriel Fahrenheit (1686-1736), costruttore tedesco di strumenti scientifici, è una scala termometrica nella quale i due punti fissi di temperatura sono posti in corrispondenza alla temperatura raggiunta con una miscela ghiaccio-cloruro di ammonio (0°F) e alla temperatura media di un corpo umano normale (97°F). Data la scarsa riproducibilità di questi punti fissi, essi sono stati tradotti ai corrispondenti valori della scala Celsius: 32°F sono 0°C e 212°F sono 100°C. Il grado Fahrenheit (°F) è 1/180 dell'intervallo 0-100 °C. La scala Fahrenheit è ancora molto usata negli Stati Uniti d'America. |
festivalmeteorologia | |
Firn | Strato superficiale, generalmente di spessore rilevante, che si forma in primavera per effetto di una azione ripetuta di metamorfosi di fusione e rigelo. Il processo relativo, talvolta detto firnificazione, conferisce stabilità al manto nevoso. |
Foehn | Vento caldo-secco, caratterizzato da raffiche, dovuto al moto dell'aria che scende lungo il pendio di un rilievo. Famoso è il Foehn a nord della catena alpina, prodotto dalle masse d'aria umida provenienti dal Mediterraneo che provocano piogge sui versanti italiani delle Alpi e vento secco sulla Baviera. Al contrario, quando masse d'aria fredda arrivano sulle Alpi dal nord Europa, si possono formare venti settentrionali caldi e secchi sulla Pianura Padana. |
Fohn | Vento di caduta, caratterizzato da un progressivo e talora notevole rialzo termico, che si genera nei versanti sottovento per effetto dello scaricamento quasi totale dell’umidità nei versanti sopravento (stau) e della conseguente maggior velocità di riscaldamento adiabatico dell’aria secca. |
Forza centrifuga | Tutti i giorni abbiamo a che fare con una forza apparente che influenza molte delle nostre azioni: la forza centrifuga. Questa è la forza a cui ogni corpo è sottoposto quando è messo in rotazione, spingendolo verso l’esterno. Se non esistesse questa forza, come si spigherebbe il fatto che il bucato aderisce la cestello della lavatrice quando è in funzione? Oppure, perché se siamo in macchina e svoltiamo a destra, il nostro corpo tende ad andare a sinistra? Anche in atmosfera questa forza è importante ed è massima all’equatore e nulla ai poli. Quando le isobare sono curve, oltre alla forza di gradiente e alla forza di Coriolis, le particelle d’aria, in moto circolare intorno alla Terra, subiscono anche l’effetto della forza centrifuga. La forza centrifuga ha l’effetto di diminuire l’intensità del vento tra due isobare non rettilinee, se si è in condizione ciclonica (bassa pressione); ha la tendenza ad aumentarla se si è in condizione anticiclonica (alta pressione). Questo accade perché, quando la curvatura è ciclonica, la forza centrifuga si oppone alla forza barica diretta verso il centro di bassa pressione, perciò la velocità impressa alla massa d’aria dalla forza totale è meno intensa del caso in cui le isobare sono rettilinee e sulle quali non può agire la forza in questione. Quando la curvatura è anticiclonica, la forza centrifuga si somma all’azione della forza barica opposta al centro di alta pressione: la velocità impressa alla massa d’aria dall’azione delle due forze risulta maggiore. |
Forza d'attrito | L’osservazione di fenomeni d’attrito che avvengono fra superfici diverse che scorrono una sull’altra è un’esperienza decisamente comune. Si può anche facilmente dedurre come l’attrito aumenti in funzione della rugosità delle due superfici e della velocità reciproca. Astraendo, a partire da queste semplici osservazioni, potremo concludere che esiste una forza, che chiameremo appunto forza d’attrito, che si oppone al movimento e che risulta tanto più intensa quanto più rugose siano le superfici e quanto maggiore sia la velocità relativa. Meno ovvio è che anche l’aria, così impalpabile, sia, in prossimità della superficie terrestre, influenzata dall’attrito prodotto dai rilievi, dai boschi, dalle città o da un qualunque tipo d’ostacolo financo ad arrivare all’erba o alle onde del mare. Sui continenti il coefficiente d’attrito è circa il doppio che sui mari e varia fortemente secondo la tipologia di suolo. Inoltre, anche gli stessi strati d’aria, caratterizzati da densità diverse, o per l’origine delle masse d’aria o per la diminuzione della densità all’aumento della quota, scorrendo uno sull’altro producono attrito e contribuiscono a propagare lo stesso dal terreno verso gli strati superiori dell’atmosfera. Ovviamente, man mano che la quota aumenta, la forza d’attrito va diminuendo e oltre i 1500 metri dal suolo risulta così piccola da essere praticamente trascurabile. Sui mari il suo effetto si annulla già oltre i 500 metri. Ma qual è l’effetto principale dell’attrito sui moti delle masse d’aria? In primo luogo esso agisce sull’intensità del vento, riducendola e determinando inoltre un’attenuazione dell’azione della forza di Coriolis, essendo la deviazione da questa indotta proporzionale alla velocità; perciò il vento tenderà anche a scostarsi dall’andamento parallelo alle isobare, caratteristico dell’atmosfera a quote elevate (vedi forza di gradiente), e a deviare sempre più verso sinistra formando con le stesse un angolo acuto. Nello strato più prossimo al terreno, la forza d’attrito è di gran lunga superiore alla forza di gradiente e a quella deviante. Con venti deboli o moderati la deviazione è di 10-15° sul mare, mentre sulla terraferma è, di norma, di 30° ma può superare i 45° in atmosfera molto stabile, come nelle notti serene e poco ventilate. L’attrito, come già osservato, diminuisce via via che ci si allontana dal suolo, ciò ha come conseguenza che il vento tenderà ad intensificarsi con la quota e anche a ruotare verso destra per riportarsi, ad un’altezza sufficiente, parallelo alle isobare. Tutto ciò è confermato da alcune comuni osservazioni: la punta degli alberi è scossa più che le fronde, il fumo di una ciminiera s’inclina e si allontana più rapidamente di quanto non succeda al fumo di un basso comignolo. |
Forza di Coriolis | Per tutti gli appassionati è un passaggio obbligato: quando la curiosità per i fenomeni atmosferici ci porta a leggere un manuale di meteorologia ecco comparire il nome di questo signore (da leggere alla francese, con l’accento sulla i finale) e la sua forza misteriosa. La forza di Coriolis è necessaria per descrivere i fenomeni fisici in un sistema che ruota, nel nostro caso, la Terra; insieme alla forza centrifuga essa è una di quelle forze (talora chiamate ‘apparenti’) che si originano nei sistemi di riferimento soggetti a rotazione o a variazioni di velocità, come la giostra o l’automobile. Il motivo per cui la forza di Coriolis ci è assai meno familiare della forza centrifuga, che sperimentiamo tutti i giorni, è solo che essa è troppo debole per essere avvertita dal nostro corpo mentre corriamo a andiamo in automobile. Qualitativamente, si può intuire l’origine di questa forza con il seguente esperimento mentale: stiamo osservando dallo spazio un proiettile sparato dal polo Nord verso l’equatore, e immaginiamo di osservare la rotazione terrestre, che sotto di noi avviene in senso antiorario. Poiché il proiettile non è vincolato alla superficie esso giungerà, per noi senza sorpresa, a destra del bersaglio verso cui era stato lanciato; invece, per chi è rimasto a terra, è come se un filo invisibile avesse a poco a poco curvato la sua traiettoria. Se ripetessimo l’esperimento in maniera simmetrica nell’altro emisfero, guardando dal polo Sud, troveremmo che il colpo ha mancato il bersaglio perché deviato a sinistra. Nella pratica noi descriviamo i fenomeni atmosferici con un sistema di riferimento solidale con il pianeta, non da un punto fisso dello spazio, ed ecco spiegato perché è comodo introdurre la forza di Coriolis, un filo invisibile che modifica il moto dei proiettili, ma anche delle masse d’aria. Si può dimostrare matematicamente che la forza di Coriolis cambia segno nei due emisferi, che la sua intensità è direttamente proporzionale alla velocità dei corpi, ed infine che essa vale zero all’equatore, per diventare massima ai poli. I moti delle masse d’aria sono profondamente influenzati dalla forza di Coriolis, specie alle medie ed alte latitudini: cicloni e depressioni extra-tropicali esistono perché la forza deviante tende continuamente a bilanciare la forza di gradiente (dovuta alle differenze di pressione): dove la forza deviante è più intensa, vicino ai poli, si formano le depressioni più profonde. Di più, gran parte della dinamica dell’atmosfera, può essere interpretata come un continuo gioco di equilibrio tra le forze di pressione e la forza di Coriolis: quando questo equilibrio viene meno nascono i moti verticali, quindi le perturbazioni e tutto quello che ne consegue (per questi argomenti vedere i capitoli sul vento geostrofico, sulla forza di gradiente). Concludiamo con una curiosità: la forza di Coriolis non influenza solo le traiettorie delle masse d’aria; alle alte latitudini l’azione continua della forza deviante fa sì che le ruote dei treni consumino di più la rotaia di destra. |
Forza di gradiente | Forse non è scontato, ovvio per tutti ma anche l’impalpabile gas aria è soggetto a delle forze, quelle forze che del resto rendono l’atmosfera un involucro della terra estremamente dinamico, sempre in moto continuo. A questo gioco alla fune partecipano non solo la forza di gravità con cui la terra mantiene a sé la nostra preziosa aria ma anche altri tipi di forza meno conosciuti come gli attriti, la forza di Coriolis e quella di gradiente. Lasciando ad altre voci del glossario l’approfondimento delle prime forze citate, vogliamo qui chiarire cosa si intende per forza di gradiente o, forse più correttamente, "forza di gradiente della pressione". Gradiente innanzitutto: è in realtà un termine non specifico della meteorologia ma coniato dai matematici e che viene tirato in causa in svariati ambiti e quindi anche dai meteorologi quando si sta trattando una grandezza che varia, cambia di valore nello spazio. Nel nostro caso specifico questa grandezza è la pressione esercitata su ogni punto dell’atmosfera dal peso della colonna d’aria sovrastante. La pressione atmosferica non solo diminuisce con la quota ma varia anche al suolo o più in generale lungo un qualsiasi piano orizzontale e in questo quadro si inserisce la forza di gradiente che "spinge" l’aria dai punti in cui la pressione è maggiore a quelli in cui è minore. Il gradiente di pressione ci fornisce una indicazione quantitativa di quanto velocemente vari la pressione e quindi in ultima analisi di quanto intensa sia questa spinta verso i luoghi dove la pressione è più bassa. Naturalmente a forti sbalzi di pressione corrispondono spinte più decise e quindi movimenti d’aria, alias venti, più intensi. Possiamo quindi concludere che i venti sospingono l’aria dalle alte alle basse pressioni e sono tanto più intensi quanto maggiore è il salto di pressione che incontrano nel loro cammino ? Non proprio, non è così semplice, infatti bisogna tener conto degli altri partner nel suddetto tiro alla fune, in primis della forza di Coriolis, e nel tira e molla che ne consegue risulta in realtà che i venti tendono a muoversi, soprattutto sui mari, lungo traiettorie non molto dissimili dalle linee di uguale pressione, le cosiddette "isobare". A tutto ciò si aggiungono l’effetto degli attriti con il suolo e l’orografia, la posizione di valli e montagne. Ne consegue che sulla terraferma i venti hanno direzioni molto meno regolari e che a forti gradienti di pressione (individuabili sulle mappe da aree con le isobare molto fitte, vicine tra di loro) non necessariamente si legano dei venti particolarmente intensi. Un esempio per tutti: quando dell’aria viene sospinta verso una catena montuosa non è detto che riesca a scavalcarla ma potrebbe anche solo aggirarla; in ogni caso però se si analizza la pressione un suo massimo è presente sul lato sopravvento della catena (quello dove va accumulandosi l’aria), un minimo su quello sottovento. Il salto di pressione, e quindi il suo gradiente, è marcato tra i due versanti delle montagne ma se l’aria in arrivo non è abbastanza energica per scavalcare i rilievi, i venti risultano deboli. Nel caso in cui avviene lo scavalcamento i venti di discesa sul lato sottovento risultano invece anche forti e sono diretti trasversalmente alle isobare. Morale della favola: un esame solo superficiale di una mappa con l’andamento della pressione al suolo, senza una conoscenza approfondita della morfologia del territorio, spesso può portare a conclusioni errate sulla direzione ed intensità dei venti. |
foto meteo | |
Fronte | Superficie di separazione fra due masse d'aria con proprietà fisiche differenti. Attraverso tale superficie, la temperatura, l'umidità e la pressione variano bruscamente. Il fronte si genera quando una massa d'aria di data temperatura incontra un'altra massa d'aria di temperatura diversa: se questa è più fredda, l'aria calda scorre sopra quella fredda, e viceversa. Lungo la superficie frontale si hanno formazioni di nubi, spesso temporalesche, intensificazione del vento con raffiche, precipitazioni anche a carattere di rovescio. |
Fronti freddi e fronti caldi | Ascoltando le previsioni del tempo trasmesse dalla radio o dalla televisione, chissà quante volte abbiamo sentito addossare la colpa del maltempo all’arrivo di un fronte freddo o di un fronte caldo. In effetti i sistemi frontali, che vediamo spesso rappresentati sulle carte meteorologiche con delle linee blu o rosse, hanno una grande importanza nel determinare le condizioni del tempo. Il fronte è infatti una superficie di separazione tra due masse d’aria aventi caratteristiche termiche diverse, cioè una più fredda ed una più calda. La classificazione dei fronti si basa sul loro movimento: si dice fronte caldo quello che delimita l’invasione di una massa d’aria calda su zone già occupate da aria fredda in arretramento; viceversa, il fronte freddo segna il confine dell’aria più fredda che avanza sostituendosi a quella più calda. In prossimità di un fronte si può sempre osservare lo sviluppo di nuvolosità. Nel caso di un fronte caldo, l’aria che sopraggiunge, essendo più leggera, scorre sopra alla massa d’aria fredda. Con la salita dell’aria si ha la condensazione dell’umidità presente e la conseguente formazione di nubi, perlopiù di tipo stratificato. L’area interessata da precipitazioni, in genere costituite da piogge non forti ma continue, si può estendere per 300-400 chilometri. L’arrivo di un fronte caldo è anticipato dalla presenza dei cirri, le tipiche nubi a forma di filamento, che preannunciano il peggioramento, anche se il fronte è ancora distante magari 800 o 1000 chilometri! Ad un fronte freddo sono invece spesso associate manifestazioni temporalesche. L’aria fredda che avanza solleva in modo più rapido e violento l’aria calda; in questo caso la zona coinvolta è più localizzata; si ha formazione di nubi cumuliformi, molto sviluppate in altezza, che danno origine ad elevata turbolenza e talvolta a violente precipitazioni, come rovesci o addirittura grandine. |
Fulmine | Rapida successione di scariche elettriche che avviene tra una nube ed il suolo o tra due nubi di solito durante un temporale. In un fulmine si distinguono il lampo (bagliore luminoso della scarica) ed il tuono (fenomeno acustico dovuto all'improvvisa espansione della massa d'aria intorno alla scarica). L'intensità delle scariche va da circa 4.000 a oltre 200.000 Ampere, l'energia di un fulmine medio è di circa 50.000 calorie, la temperatura di 30.000 °K, mentre la lunghezza media delle scariche principali è di 2-3 km, con massimi fino a 8-10 km. |
gaigo | |
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Genova | |
Geopotenziale | “Energia potenziale per unità di massa dell'aria ad una certa altezza sulla superficie. L'unità di misura è il "metro geopotenziale" (mgp) definito come 10/98 Joule/kg, molto simile numericamente all'altezza in metri. Molto usata dai meteorologi è la mappa di geopotenziale che rappresenta il geopotenziale su una superficie isobarica standard. Su tale mappa sono disegnate le linee di ugual geopotenziale (isoipse), che servono a mettere in evidenza la circolazione atmosferica in quota.” "Geopotenziale" è sicuramente un termine da addetti ai lavori ma in realtà non è difficile per chi naviga nei siti internet dedicati alla meteorologia imbattersi in rappresentazioni grafiche di questa misteriosa grandezza o meglio di quella che si chiama "altezza geopotenziale". Ma andiamo per ordine: come ogni altra cosa dotata di massa anche il gas aria è soggetto alla forza di gravità che lo trattiene alla terra per cui ogni qual volta dell’aria si solleva allontanandosi dal centro del pianeta viene spesa dell’energia per vincere questa attrazione, viene compiuto quello che i fisici definiscono un lavoro. Ebbene si definisce il geopotenziale come il lavoro necessario per spostare verso l’alto una massa di aria unitaria. Posto per convenzione che il geopotenziale sia nullo al livello del mare, il geopotenziale ad una certa altezza Z altro non è che il lavoro, l’energia spesa per innalzare dal livello del mare fino a Z una massa unitaria di aria. L’altezza geopotenziale è una grandezza strettamente correlata al geopotenziale perché ottenuta dividendo quest’ultimo semplicemente per una costante ossia il valore dell’accelerazione di gravità media al livello del mare. La sua introduzione non vuole essere un giochino matematico insignificante ma trova la sua ragione d’essere nel fatto che la forza di gravità è quasi una costante nello strato di atmosfera di interesse per motivi meteorologici per cui si può dimostrare che l’altezza geopotenziale è numericamente pressoché identica all’altezza geometrica. Quindi rappresentare graficamente con delle isolinee (linee di ugual valore) l’andamento dell’altezza geopotenziale di una superficie dell’atmosfera a pressione costante (sono comuni le rappresentazioni della 850, della 700 e della 500 hPa) altro non è che rappresentare come la stessa superficie si distribuisca in termini di altezza, di quota sopra le nostre teste. Se al di sopra di Roma l’altezza geopotenziale della 850 hPa è pari a 1550 significa che per trovare un valore di pressione di 850 hPa dobbiamo salire sulla verticale di Roma fino a 1550 metri di quota. Un’altra informazione molto immediata possiamo trarre dalla rappresentazione dell’altezza geopotenziale (indicata quasi sempre semplicemente come geopotenziale) sulle superfici a pressione costante. Infatti senza entrare troppo nel dettaglio si può dimostrare che qualche centinaio di metri al di sopra del suolo l’aria si muove approssimativamente lungo le suddette isolinee di geopotenziale (chiamate anche isoipse) lasciando alla propria destra valori più elevati e alla propria sinistra valori più bassi di geopotenziale. L’aria in quota si muove quindi in senso antiorario intorno ad un minimo di geopotenziale e nel senso delle lancette di un orologio intorno ad un suo massimo. Se vogliamo quindi avere una indicazione di come si muovono le masse d’aria in quota andiamo pure a ricercare nelle tante carte ormai disponibili in rete, quelle che rappresentano l’andamento del geopotenziale sulla superficie a 500 hPa ! |
Ghiaccio | Fase solida dell’acqua. Composto da cristalli, racchiude molti più spazi vuoti dell'acqua liquida e quindi ha una densità minore di questa. Per questo motivo il ghiaccio galleggia nell'acqua liquida. Il passaggio dallo stato liquido alla stato solido, per acqua priva di sali e ad 1 atm di pressione, avviene ad una determinata temperatura che è stata assunta come lo zero della scala Celsius. |
Glaciazione | Fenomeno relativo all'enorme espansione dei ghiacci polari e montani che ha interessato a più riprese vaste estensioni della superficie terrestre. |
Gradiente | Variazione di una data grandezza (pressione, temperatura ecc.) per unità di lunghezza. Il gradiente orizzontale della pressione è piuttosto piccolo e si aggira in media intorno a 2 - 3 hPa per un centinaio di km. Il gradiente verticale della pressione (gradiente barico) è molto più forte, ma non costante: nei bassi strati dell'atmosfera si aggira intorno a 1 hPa ogni 8 - 10 metri. Il gradiente termico verticale medio è circa di –0.6 °C ogni 100 metri. La forza di gradiente è quella che spinge le masse d'aria a muoversi generando i venti. |
Gradiente termico | In meteorologia è il rapporto fra la differenza di temperatura di due punti dell’atmosfera posti sulla stessa verticale e la loro distanza. Nella libera atmosfera la temperatura dell’aria satura diminuisce di 0.5 -0.6 °C per ogni 100 metri di innalzamento, mentre nell’aria non satura essa diminuisce di circa 1 °C/hm. Queste differenti velocità di raffreddamento (e di riscaldamento) sono all’origine di fenomeni di stau e fhon. In nivologia il concetto di gradiente si applica al manto nevoso. Un’esperienza comune a molti è la diminuzione della temperatura dell’aria all’aumentare della quota, ciò accade normalmente, in quanto con l’altezza aumenta la distanza dal suolo, fonte diretta di riscaldamento dell’atmosfera e inoltre l’aria risulta più rarefatta alle quote elevate. La variazione di temperatura "T" in rapporto alla differenza di quota "Z" viene detto gradiente termico. Il gradiente medio registrato in condizioni normali, nei bassi strati atmosferici, è di circa 0.6-0.65 gradi ogni 100 metri. La variazione reale della temperatura con la quota, in un determinato strato atmosferico, può ovviamente differire rispetto a questo valore medio, in base alle caratteristiche fisiche dell’aria considerata e dell’ambiente circostante. Pensiamo, infatti, di misurare la temperatura dell’aria in una giornata particolarmente assolata in prossimità di una strada asfaltata, facilmente ci potremmo accorgere che la diminuzione della temperatura potrà essere di qualche grado in alcuni metri d’altezza e quindi superare decisamente il valore del gradiente medio, viceversa, misurando la temperatura, in un prato, durante una notte di cielo sereno e senza vento scopriremmo che la temperatura invece di diminuire addirittura aumenta, siamo in presenza cioè di quello che i meteorologi chiamano inversione termica, fenomeno di grande rilevanza ad esempio per la formazione di nebbie. Ora per meglio capire l’importanza dell’individuazione del gradiente termico nello studio della bassa atmosfera saliamo a bordo di una particella d’aria: consideriamo, cioè, una certa massa d’aria e supponiamo che questa sia più calda dell’aria circostante, sarà dunque più leggera e tenderà a salire verso l’alto, così facendo man mano troverà valori di pressione in continua diminuzione e, di conseguenza, potrà espandersi e quindi raffreddarsi. Al contrario, una massa d'aria più fredda e dunque più pesante, scendendo troverà pressione più alta e, di conseguenza, si comprimerà aumentando la sua temperatura. Tutto questo senza che ci sia uno scambio diretto tra le masse d’aria con caratteristiche diverse. Siamo in presenza cioè di un fenomeno detto adiabatico (vale a dire senza scambi di calore). A questo punto, per determinare la variazione di temperatura della nostra massa d’aria è necessario conoscere il suo contenuto d’umidità. Per semplicità esaminiamo due casi estremi: se siamo in presenza d’aria particolarmente secca allora la diminuzione riscontrabile ogni 100 metri sarà intorno ai 0.98 gradi. Questo valore ha una particolare importanza in meteorologia e prende il nome di gradiente adiabatico secco. Se al contrario siamo in presenza di una massa d’aria particolarmente umida e vicina alla condensazione allora la variazione che dovremmo attenderci sarà inferiore e prossima ai 0.5 gradi ogni 100 metri. Questi due valori sono molto importanti in quanto costituiscono una specie di valori guida per determinare le condizioni di stabilità o d’instabilità in cui si trova l’atmosfera in una certa zona. Nell’atmosfera reale, infatti, il modo in cui la temperatura varia con la quota dipenderà da molteplici fattori, e il gradiente potrà così assumere valori che variano sensibilmente sia nel tempo che nello spazio e che non coincidono esattamente con i due precedentemente identificati per una singola massa d’aria. Quindi se il gradiente reale risulta inferiore a 0.5 °C ogni 100 metri, i moti verticali di una qualsiasi massa d’aria saranno decisamente soppressi in quanto muovendosi verso l’alto, questa verrebbe a incontrare aria già più calda; saremo così in presenza d’aria stabile. Se al contrario, il gradiente fosse superiore a 0.98°C/100 m, una massa d’aria spostandosi verso l’alto risulterebbe sempre più calda dell’aria circostante e quindi potrebbe portarsi sempre più in su almeno fino a quando il gradiente reale continui a mantenersi su valori elevati; in questo caso saremo in presenza di aria fortemente instabile, condizioni ideali per lo sviluppo di nubi a forte sviluppo verticale che potrebbero originare anche forti temporali. È allora evidente quanto sia importante determinare il profilo termico in una determinata zona e questo viene fatto tramite l’utilizzo di particolari sonde, poste a bordo di palloni che forniscono una serie di dati, tra cui misure di temperatura, in funzione della quota di misurazione. A partire da queste informazioni è dunque possibile stabilire il gradiente verticale di temperatura caratteristico di ogni strato atmosferico, più o meno esteso verticalmente, che viene a trovarsi grosso modo sulla verticale del luogo di lancio. |
Gragnuola | Precipitazione di granuli di ghiaccio, trasparenti o translucidi il cui diametro è inferiore ai 5 mm. E' costituita da granuli di neve ricoperti da un sottile strato di ghiaccio oppure da fiocchi di neve quasi fusi e ricongelati successivamente. Può giungere al suolo con temperature maggiori di zero, ma durante la sua comparsa la temperatura cala bruscamente. |
Grandine | “Precipitazione atmosferica costituita da granuli di ghiaccio composti da strati trasparenti e opachi, sovrapposti ed alternati. I granuli hanno dimensioni variabili e, in casi eccezionali, possono raggiungere anche la dimensione di un'arancia. Il loro processo di crescita si chiama orlatura. Le particelle di ghiaccio presenti nella nube, spinte da correnti d'aria ascensionali, collidono con gocce d'acqua a temperatura inferiore allo zero e le solidificano. Quando i granuli non sono più sostenuti dalle correnti ascensionali precipitano con violenza causando danni anche rilevanti all'agricoltura. Proprio per tentare di evitare questi danni o di limitarli, sono stati ideati razzi antigrandine che hanno lo scopo di bloccare l'accrescimento dei granuli. Alle nostre latitudini, dopo la tromba d'aria, il temporale è senza dubbio il fenomeno meteorologico più violento. Le precipitazioni provocate dai temporali sono in genere molto abbondanti e talvolta alla pioggia si unisce la grandine (granelli di ghiaccio con diametro superiore a 5 millimetri). Ma come si formano i chicchi di grandine? All'interno del cumulonembo, nello strato di nube in cui la temperatura è compresa fra 0°C e -10°C, coesistono cristallini di ghiaccio e goccioline d'acqua sopraffuse, cioè rimaste allo stato liquido malgrado la temperatura negativa. In queste condizioni particolari i cristalli di ghiaccio tendono ad accrescersi per processi di sublimazione (passaggio dallo stato di vapore acqueo a quello di ghiaccio) a spese delle goccioline di acqua che tendono invece ad evaporare. Questi piccolissimi granuli di ghiaccio, mantenuti all'interno della nube temporalesca da imponenti correnti ascendenti, collidono con le goccioline sopraffuse accrescendo ulteriormente le proprie dimensioni. Se i moti convettivi sono deboli, i granuli di ghiaccio, una volta raggiunto l'apice della nube, dove le correnti ascendenti divergono, precipiteranno verso il suolo attraversando strati d'aria con temperatura relativamente elevata e raggiungeranno il terreno sotto forma di pioggia; se invece le correnti ascendenti sono intense, le particelle resteranno a lungo nella nube e gli intensi moti vorticosi in essa presenti, per molte volte ancora, li trasporteranno in alto, poi in basso e ancora verso l'alto, consentendo, ad ogni ciclo, la formazione di un nuovo rivestimento di ghiaccio. Quando i chicchi di grandine saranno diventati tanto pesanti da non poter essere più sorretti dalle correnti ascendenti, precipiteranno violentemente verso il suolo con le conseguenze che tutti conoscono. Come è possibile risalire all'età di una pianta contando gli anelli del tronco, è possibile risalire al numero di cicli che il granello è riuscito ad effettuare all'interno della nube contando i gusci concentrici di cui è formato. Se ne possono trovare anche più di una ventina. In questa caratteristica "stratificazione a cipolla" si alternano strati di ghiaccio opaco (biancastro) a strati di ghiaccio trasparente; questi ultimi si formano nella zona della nube in cui sono presenti i moti ascendenti, dove cioè la quantità di goccioline sopraffuse è elevata, mentre gli strati biancastri, cioè ricchi di bolle d'aria, si formano nella regione in cui il chicco cade, cioè dove il contenuto d'acqua è meno abbondante. |
Grecale | Vento molto intenso soprattutto in inverno, che spira da nord-est ed è tipico del Mediterraneo centrale. |
Groppo | Vento violento e improvviso della durata di diversi minuti. A differenza della raffica, che dura al massimo un minuto, il groppo è spesso accompagnato da rovesci anche di grandine, da una brusca diminuzione della temperatura e da una netta variazione nella direzione del vento. Accompagna spesso il fronte freddo. |
hPa (ettopascal) | multiplo del Pascal, unità di misura della pressione, ed equivalente del millibar: 1hPa = 100 Pascal = 1 mb. |
Iceberg | Massa di ghiaccio di notevoli dimensioni che, dopo essersi staccata dai ghiacciai costieri delle regioni artiche ed antartiche, va alla deriva sul mare. |
Idrometeore | Dal greco hýdor ‘acqua’ e metéoros ‘che sta in alto, nel cielo’. Con questo termine si indicano in meteorologia tutti quei fenomeni di condensazione e di precipitazione dell’umidità atmosferica sotto forma di particelle di acqua liquide o solide. La pioggia, la grandine, la neve, sono dette idrometeore di precipitazione, mentre per le nebbie e le nubi si parla di idrometeore di condensazione. Quando si verificano determinate condizioni di temperatura e pressione, dette condizioni di saturazione, il vapore d’acqua può condensare attorno alle microscopiche particelle solide presenti in sospensione nell’aria (gli aerosoli), formando inizialmente goccioline o piccolissimi cristalli di ghiaccio (così si formano le nubi). Se permangono tali condizioni, si ha poi il processo di accrescimento: in questo caso le goccioline o i minuti cristalli di ghiaccio possono aumentare di dimensione e infine precipitare al suolo. In questo modo al suolo può giungere pioggia oppure, quando la temperatura dello strato di aria vicina alla superficie è sufficientemente bassa, neve. La formazione della grandine è associata tipicamente alle imponenti nubi temporalesche, caratterizzate da forti correnti ascensionali. Gocce di pioggia ghiacciata vengono più volte trasportate velocemente verso l’alto: ad ogni sollevamento il "chicco" di grandine aumenta di dimensioni, fino a quando non precipita definitivamente al suolo. La nebbia è una sospensione, negli strati dell’atmosfera vicini al suolo, di minutissime goccioline d’acqua, del tutto simili a quelle che costituiscono le nubi. Può avere diverse cause, prima fra queste il raffreddamento notturno della superficie terrestre in presenza di aria umida e scarsamente ventilata: vengono così raggiunte le condizioni di saturazione e l’umidità condensa in goccioline. Rugiada, brina e galaverna sono associate tutte alla condensazione (e sublimazione) dell’umidità dell’aria su corpi e superfici al suolo più freddi dell’aria stessa. Mentre le prime due sono fenomeni tipicamente notturni, dovuti al raffreddamento della superficie terrestre in notti serene, la terza consiste nella solidificazione di gocce di nebbia (o di nube bassa). |
Igrometria | E' l'insieme delle tecniche utilizzate per stabilire il contenuto di vapore acqueo nell'aria. |
Il clima non è il tempo! | Quante volte i mass media (quotidiani, giornali, telegiornali,…) propongono servizi sul tempo che ci sarà domani o sul clima che c’è stato oggi, trattando i due argomenti nello stesso modo!! Ma è solo una grande confusione. Infatti, clima e tempo non sono la stessa cosa. Il clima rappresenta la media di condizioni meteorologiche giornaliere (temperatura, pioggia, umidità, periodi di siccità,….), che sono avvenute su un’ampia area geografica nell’arco di un periodo piuttosto lungo (20 - 30 anni); invece, il tempo è la condizione meteorologica che si può osservare quotidianamente su un’area limitata e la media del tempo osservato giornalmente per un lungo periodo è appunto il clima. Ad esempio, le statistiche dicono che, nelle estati degli ultimi 20 anni, in Italia, in media le temperature massime generalmente si sono aggirate intorno ai 28,5 °C. Allora, si potrà dire che il clima sulla nostra penisola, durante il periodo estivo, sarà caldo e soleggiato. Questo, però, non significa che ogni anno tutti i giorni d’estate saranno soleggiati e sempre con la temperatura ottenuta dalla media; se così fosse , ci troveremmo lo stesso tempo tutti i giorni. E questo, come è noto, non accade. Quindi, non c’è da stupirsi se il tempo di una giornata d’estate, su una località, sarà piovoso con temperature basse, perché il clima è solo una media di "tempi": tempi che comprendono giornate di pioggia e giornate di sole, giornate calde e giornate fredde. La media, poi, si avvicinerà più ad un tipo di giornata in base al numero di giorni con quelle particolari caratteristiche, durante il periodo considerato. |
Imperia | |
Indice di rischio | E’ un numero che, in base ad una tabella di classificazione convenzionale graduata detta scala di rischio, fornisce una indicazione sulla situazione valanghiva prevista per il periodo di validità del bollettino. |
Inquinamento | Termine generico con il quale si indica un degrado dell'ambiente per immissione volontaria o involontaria da parte dell'uomo di sostanze, i cui effetti alterano le caratteristiche fisico-chimiche e biologiche. L'inquinamento atmosferico è l'insieme di processi che alterano la composizione dell'atmosfera su una zona più o meno vasta. |
Insolazione | E’ la quantità di radiazione solare che arriva sulla superficie del suolo o della neve. Essa dipende dalla latitudine, dalla stagione, dall’inclinazione del terreno, dal contorno apparente e dalle condizioni generali dell’atmosfera. |
Instabilità | Durante la stagione primaverile, seguendo le previsioni meteorologiche in televisione o leggendo i bollettini meteo su riviste e quotidiani, sovente capita di sentir parlare di instabilità pomeridiana: ma cos’è questa famigerata instabilità? E perché puntualmente torna a far capolino con la primavera, dopo un apparente "letargo invernale"? Per instabilità si intende, in meteorologia, il fenomeno per cui masse d’aria a quote differenti tendono a rimescolarsi: solitamente aria più calda rispetto a quella circostante tende a sollevarsi, lasciando così spazio ad aria più fredda in discesa dagli strati superiori. Perché possa verificarsi questo fenomeno è però necessaria una certa differenza di temperatura tra gli strati d’aria più bassi e quelli più alti. Quanto più è calda l’aria negli strati inferiori rispetto a quella in quota, tanto maggiore sarà l’instabilità che si crea. Perché dunque questo fenomeno torna a presentarsi con frequenza solo a partire dalla stagione primaverile? Perché proprio con la primavera le masse d’aria fredda in arrivo dall’Atlantico scorrono su un suolo maggiormente riscaldato rispetto al periodo invernale: l’aria si scalda così dal basso, dando quindi luogo al fenomeno dell’instabilità, proprio come in una pentola, dove l’acqua a contatto con il fondo della pentola si scalda e sale. Ma è così importante questa instabilità? Per rispondere basta segnalare che questo fenomeno è una delle principali cause di formazione di nubi e rovesci in primavera ed estate. Una massa d’aria si dice instabile quando al suo interno si creano correnti ascensionali o convettive. La presenza di queste correnti è uno degli elementi più importanti per la formazione di nubi cumuliformi (cumuli e cumulonembi), alle quali possono essere associate piogge anche di forte intensità. Per un meteorologo quindi individuare una condizione di instabilità permette di prevedere lo sviluppo di nubi cumuliformi ed eventualmente il verificarsi di temporali o rovesci. Per farlo, il meteorologo ha a disposizione alcuni indici fisico-matematici, elaborati dai centri meteorologici mondiali che riescono a quantificare il grado di instabilità di una massa d’aria partendo dalle sue caratteristiche fisiche (temperatura, umidità,…) e dalle condizioni meteorologiche (venti, pressione atmosferica, andamento della temperatura dell’aria con l’altezza,…). In realtà ci sono anche altri sintomi tipici dell’aria instabile che chiunque può utilizzare per riconoscere il grado di stabilità o instabilità dell’aria. Sono, ad esempio, sintomi di instabilità questi fattori: • presenza di nubi cumuliformi; • vento in intensificazione nelle ore più calde della giornata; • brezze molto attive sin dal primo mattino; • il fumo in uscita dai camini o dalle ciminiere ha aspetto serpeggiante. Al contrario sono sintomi di stabilità: • presenza di nubi stratiformi; • venti deboli e brezze quasi assenti; • il fumo in uscita dai camini forma una lunga scia orizzontale; • le città sono ricoperte da un sottile strato di caligine. Oltre a questi fattori, il contributo del riscaldamento solare aumenta il livello di instabilità e può diventare l’elemento determinante per lo sviluppo di nubi torreggianti e di temporali: nelle ore pomeridiane e serali di una calda giornata primaverile o estiva, il suolo si scalda molto e trasmette il calore agli strati d’aria a diretto contatto. Questi si scaldano, si dilatano e iniziano a salire nell’atmosfera; se la temperatura della bolla d’aria in risalita rimane più alta di quella degli strati di atmosfera che sta attraversando, l’ascesa continua e si può arrivare con facilità alla formazione di nubi temporalesche. Ecco perché un altro fattore determinante per l’individuazione del grado di instabilità dell’atmosfera è l’andamento della temperatura con l’altezza. In vari aeroporti italiani e mondiali ogni giorno per più volte al giorno vengono lanciati palloni sonda in grado di misurare la temperatura dell’aria a vari livelli fornendo così ai meteorologi un elemento in più per prevedere i soliti "imprevedibili" temporali. |
Inversione termica | Fenomeno atmosferico che si manifesta quando uno strato di aria calda si trova al di sopra di uno più freddo, invertendo la normale tendenza della temperatura a diminuire con l'aumentare della quota. L'inversione termica si verifica, ad esempio, quando l'aria fredda rimane imprigionata nelle vallate alpine, mentre in quota l'irraggiamento solare scalda l'atmosfera. L'inversione termica può verificarsi anche in casi di tempo bello e stabile per parecchi giorni, quando l'aria tende a stratificarsi in base alla densità. In condizioni di inversione termica si formano nubi e nebbie nello strato inferiore dell’atmosfera. Il perdurare dell'inversione termica è una delle cause del ristagno dello smog. |
irraggiamento | |
Irraggiamento terrestre notturno | In totale assenza di soleggiamento e in condizioni di cielo sereno (ecco il motivo della maggior efficacia nelle lunghe notti invernali) il suolo e l’atmosfera immediatamente soprastante tendono a rilasciare calore verso l’alto, raffreddandosi in maniera più o meno graduale; di qui la formazione di un sottile “ pellicola” d’aria relativamente fredda e stabile nella sua posizione, all’interno della quale il vapore acqueo si trova costretto a condensare (sempre che i tassi igrometrici siano sufficientemente elevati), e a generare quindi, in taluni casi, foschia o veri e propri banchi di nebbia. |
Isallobare | Linee congiungenti i punti di ugual tendenza barometrica. La tendenza barometrica è la variazione di pressione in un intervallo di tempo che solitamente è di tre ore. I nuclei positivi o negativi danno al meteorologo utili informazioni sulla posizione e sul movimento dei fronti. |
Isobara | Linea che unisce tutti i punti aventi uguale valore della pressione atmosferica, ridotta alla temperatura di 0°C, a livello del mare ed alla gravità esistente a 45° di latitudine. Tra le varie mappe di cui il meteorologo si serve per la descrizione del tempo, riveste particolare importanza quella che riproduce l’andamento della pressione atmosferica al livello del mare sull’area di interesse. Tale andamento viene descritto attraverso le isobare, le quali non sono altro che linee che uniscono tutti i punti che, sull’area geografica prescelta, hanno la stessa pressione. Nel tracciare le isobare, possono prendere forma delle strutture in cui, le isobare stesse, racchiudono delle aree i cui punti si trovano tutti alla stessa pressione. Se le isobare assumono una conformazione quasi concentrica con un minimo di pressione nella parte centrale siamo in presenza di un ciclone o depressione; se, al contrario, le isobare assumono, sempre nella parte centrale, il valore massimo, avremo una struttura che si chiama anticiclone. Assieme ai cicloni si muovono i sistemi frontali che rivestono particolare importanza per il tempo alle medio alte latitudini. |
Isoipse | Linee che uniscono i punti di ugual altezza sul livello del mare o ugual geopotenziale, disegnate su una superficie isobarica. Una carta in cui siano state tracciate le isolinee d'altezza viene chiamata topografia assoluta della data superficie isobarica o anche mappa di geopotenziale. In meteorologia è frequente sentire frasi del tipo "La situazione a 850 ettopascal…" oppure "Osservando la temperatura a 500 ettopascal…". Ma cosa sono questi 850 o 500 ettopascal? Se le stesse frasi fossero tramutate in "La situazione a 1500 metri di quota…" e "Osservando la temperatura a 5500 metri…" tutto filerebbe liscio. Ecco, senza addentrarci troppo nella questione, è sufficiente sapere che alle espressioni tipo 850, 700, 500 ettopascal si possono associare effettivamente delle quote, delle altitudini. In realtà, per essere più precisi, l’ettopascal è un’unità di misura della pressione; ma con l’espressione "a 850 ettopascal" si intende "alla quota a cui la pressione atmosferica vale 850 ettopascal". Nelle mappe meteorologiche tale quota è rappresentata tramite una grandezza detta altezza di geopotenziale: essa è per definizione la quota alla quale la pressione atmosferica è pari a un determinato valore. Le linee che uniscono i punti in cui tale altezza di geopotenziale, assume lo stesso valore vengono dette isoipse. Si tratta di linee chiuse a ciascuna delle quali è associato un numero: tale valore rappresenta la quota alla quale ci si riferisce, espressa solitamente in metri o decametri. Ad esempio se in una "carta a 850 ettopascal" (cioè in una mappa nella quale il valore dei parametri rappresentati quali temperatura, venti, umidità è quello che essi assumono "alla quota di 850 ettopascal"), su una isoipsa si legge il valore 1500, significa che in tutte le località attraversate da quella linea la pressione di 850 ettopascal è raggiunta a un’altitudine di 1500. Se invece si legge un valore dell’ordine delle centinaia, ad esempio 150, significa che l’unità di misura utilizzata è il decametro: 150 decametri = 1500 metri. Analogamente a quanto accade per le isobare al suolo, il valore delle isoipse non è importante in senso assoluto, ma in senso relativo. Nella ragnatela delle isoipse diventa così possibile individuare massimi e minimi, normalmente indicati con le lettere A e B oppure H e L (High, Low), proprio come nelle "carte al suolo" si individuano le zone di alta e bassa pressione racchiuse dalle isobare. Si può anche dimostrare che in quota l’aria si muove approssimativamente lungo le isoipse, lasciando alla propria destra valori più elevati e alla propria sinistra valori più bassi dell’altezza di geopotenziale. La rappresentazione delle isoipse nelle carte è quindi di fondamentale importanza per l’individuazione del movimento delle masse d’aria alle varie quote. In definitiva le isoipse in quota possono essere interpretate, a grandi linee, come le isobare al suolo. |
Isoterme | Linee che uniscono i punti con la stessa temperatura. Le previsioni del tempo trasmesse in televisione o riportate sui giornali hanno reso comuni alcuni termini scientifici utilizzati in meteorologia. Ad esempio, chi non ha mai sentito parlare di "campo barico al suolo", o non ha mai visto quelle linee a volte anche molto sinuose chiamate isobare? Probabilmente solo poche persone. A non molti, al contrario, sono note quelle linee che uniscono i punti dove viene rilevata la stessa temperatura e che prendono il nome di "isoterme". Anche se meno conosciute, per un meteorologo non sono meno importanti delle isobare. Infatti, grazie ad esse è possibile riconoscere la posizione delle masse d'aria calde e fredde presenti al suolo ed in quota e, in base alla direzione e all'intensità dei venti, anche ricostruirne la traiettoria e la velocità di spostamento. Le isoterme, laddove risultano particolarmente ravvicinate tra loro, indicano chiaramente la posizione della principale causa di maltempo: il fronte, cioè la linea ideale che delimita al suolo l'irruzione di aria fredda verso zone prima occupate da aria più calda (fronte freddo), oppure l'invasione di aria più calda verso regioni precedentemente occupate da aria più fredda (fronte caldo). Il fronte più facilmente individuabile osservando attentamente le isoterme è quello freddo e ad esso sono associate le nubi cumuliformi, cioè a forte sviluppo verticale, come i cumulonembi, responsabili dei fenomeni più violenti come i rovesci e i temporali che proprio in questa stagione iniziano a diventare intensi anche al Nord. In conclusione, grazie alle isoterme, possiamo prevedere non solo l'arrivo di aria calda o fredda sulle nostre regioni, ma anche il tipo di fenomeni associati a tale evento e la loro l'intensità. |
Isotermia | E’ quella condizione in cui si trova il manto nevoso quando lungo il profilo verticale si misurano temperature poco dissimili fra loro (gradiente < 0.1 C°/cm). In questo caso il trasporto di aria caldo-umida per avvezione non si verifica ed è quindi impedito il metamorfismo costruttivo. Si potranno verificare soltanto il metamorfismo distruttivo o il metamorfismo di fusione, più o meno accelerati a seconda dell’apporto esterno di calore. |
la spezia | |
Lampo | E' l'effetto luminoso di una scarica elettrica all'interno di una nube o fra una nube ed il suolo. Quando non si verificano durante un temporale vengono detti lampi di calore, quando illuminano una nube senza seguito di tuono sono chiamati lampi superficiali, quando si formano con il tempo secco e hanno la forma di un globo o più globi in fila sono detti lampi globulari o lampi a rosario. (v. anche fulmine) |
laspezia | |
Lastroni da vento | Strati di neve compattata che si formano nei versanti sottovento in seguito alla deposizione della neve trasportata dal vento stesso. Sono costituiti da cristalli molto frantumati. A seconda della velocità con la quale avviene la deposizione della neve si potranno avere formazioni più o meno rigide. Una eventuale rottura si propaga tanto più facilmente quanto più il lastrone è compatto. |
letteraura | |
libecciata Mar Ligure | |
Libeccio | Vento tipico delle regioni tirreniche proveniente da Sud-Ovest. |
Liguria | |
Loano |
Maccaja | La "maccaja" (o "macaia") è un fenomeno tipicamente ligure. Si tratta di nubi medio-basse di provenienza marittima, sospinte dal vento meridionale verso i settori costieri della regione. Esistono fondamentalmente due tipi di "maccaja": la prima, detta "anticiclonica", è molto comune nel periodo primaverile e trova la sua genesi nel sovrascorrimento sul freddo mar ligure, reduce dell'Inverno, delle prime apprezzabili masse d'aria calda. La seconda, "da richiamo" (o "prefrontale"), caratterizza le fasi anteriori al passaggio di una depressione, in concomitanza con l'attivazione in seno al Tirreno di flussi, più o meno profondi, umidi meridionali. Il fenomeno opposto alla "maccaja" è il "gaigo". |
Maestrale | Vento caratteristico del Mediterraneo centrale che spira da nord-ovest. Uno dei venti più intensi e rafficosi interessano i bacini della nostra penisola è sicuramente il Maestrale; nome questo, usato da noi italiani per identificare il Mistral, un vento che ha origine nel Sud della Francia. La caratteristica essenziale che un vento deve possedere per essere chiamato Maestrale, è la sua direzione di provenienza. Il Maestrale infatti proviene da Nordovest e porta sui nostri mari aria fredda proveniente da più alte latitudini. La genesi di questo vento si ha quando correnti di aria polare o artica irrompono nel Mediterraneo occidentale dalle coste della Provenza. In queste circostanze le masse d’aria provenienti da Nord, scavalcano il Massiccio Centrale francese ed i Pirenei, incanalandosi poi lungo la valle del Rodano, dove vengono molto accelerate dalla rapida discesa sui versanti sottovento. Nella maggior parte dei casi, questa accelerazione consente ai venti di Mistral di giungere ancora irruenti fino alle coste di Corsica e Sardegna. Il Maestrale nasce come vento "freddo" e ricco di umidità, che acquisisce sui mari del Nord; nello scontro con gli ostacoli orografici Francesi, perde molto vapore acqueo come Stau sopra vento, per poi arrivare sul Mediterraneo come vento relativamente secco. Nel transitare sopra queste acque, si carica di nuovo di umidità e si riscalda, risultando così, alla fine di questo processo, molto instabile. Questa instabilità favorisce, all’interno delle masse d’aria, lo sviluppo di moti convettivi, i quali tendono a trasportare verso l’alto, oltre al calore, il vapore acqueo. Questo fa sì che il Maestrale dia luogo al formarsi di isolate nubi cumuliformi, talvolta ad elevato sviluppo verticale così da diventare cumulonembi temporaleschi. I moti convettivi appena menzionati hanno anche un altro effetto sul Maestrale; infatti le correnti discendenti ad essi associate spingono verso il basso i venti degli strati superiori, meccanismo questo che fa in modo che il Maestrale sia un vento molto rafficoso. Per quel che riguarda l’intensità del Maestrale, essa è solitamente soggetta ad una variazione diurna indotta sia dalle brezze diurne, sia dai moti convettivi. A causa della opposta direzione di provenienza infatti, le brezze di mare tendono a moderare la velocità del vento sulle coste Francesi mentre tendono ad incrementarla sulle coste della Sardegna. Per ciò che riguarda la presenza di moti convettivi diurni, lo stesso meccanismo sopra descritto, oltre a causare molte raffiche, incrementa la velocità del vento stesso. |
Manto nevoso | Copertura nevosa presente al suolo in un determinato momento; alle medie latitudini è tipico delle zone montane dove presenta un ciclo stagionale (si forma in autunno e scompare in primavera). E’ il risultato dei processi di accumulazione e ablazione che ne determinano la tipica stratificazione. Se la neve ricopre totalmente il territorio oggetto d’esame si ha una copertura continua, mentre qualora su di un piano orizzontale oppure a pendenza non molto rilevante si presentino soluzioni nella continuità si avrà una copertura discontinua. |
Mappa | Vedi "Carta sinottica" |
Mareggiata | |
mbar (millibar) | Un millesimo di bar (abbreviato mbar), unità di misura della pressione atmosferica. |
Medie in climatologia | "…le temperature di oggi sono state al di sopra delle medie di questo periodo…", "…è stato un inverno particolarmente secco: la quantità totale di pioggia caduta è stata nettamente sotto la media…". Questi e altri commenti simili sono oramai entrati nel gergo popolare e tutti quanti sappiamo, più o meno, che cosa si intende con "al di sopra" o "al di sotto" rispetto alla media; in effetti dire "in media" è come dire "solitamente" oppure "con molta probabilità" o anche "nella maggior parte dei casi". La climatologia risponde all’esigenza di conoscere com’è "solitamente" il tempo in una determinata zona del globo terrestre attraverso l’analisi statistica dei parametri meteorologici come la temperatura, la quantità di precipitazioni, l’intensità del vento, ecc. Ad esempio il calcolo dei valori medi di tali parametri è molto utile per avere un indice al quale riferirsi ogniqualvolta si voglia confrontare una determinata situazione con la "normalità" descritta, appunto, da questi valori rappresentativi. Vi sono differenti definizioni di media di una serie di valori; quella più semplice, e più conosciuta, è la media aritmetica data dalla somma dei valori diviso il loro numero. Non sempre, però, questo tipo di media è adatto a rappresentare una serie di dati: infatti essa funziona bene quando la distribuzione di frequenza di questi dati è simmetrica (a "campana" o gaussiana) attorno a un certo valore che, oltre a rappresentare il valore più probabile, è ottenuto appunto dalla media aritmetica di tutto l’insieme di valori. La temperatura, ad esempio, è rappresentata efficacemente nelle sue medie aritmetiche decadali, mensili, stagionali o annuali che costituiscono, quindi, la situazione termica normale per la specifica località. Se, però, la distribuzione di frequenza non risulta simmetrica la media aritmetica non è più indicativa ma è meglio adoperare altri valori di riferimento: uno tra questi è la mediana definita come il valore centrale di una serie di dati ordinati in ordine crescente. La mediana divide esattamente in due parti equiprobabili l’intero campione di dati, ossia: il parametro in questione ha il 50% di probabilità di assumere valori al di sotto o al di sopra della mediana; perciò possiamo vederla come una "via di mezzo" alternativa che, comunque, si identifica con la media aritmetica in caso di distribuzione simmetrica. La quantità di pioggia giornaliera, per esempio, ha una distribuzione di frequenza che decresce molto velocemente man mano che i valori aumentano: infatti tutti possiamo immaginare come sia molto più frequente l’accumulo di piccole quantità di precipitazione rispetto a grosse quantità in un giorno. Anche l’intensità del vento segue un andamento simile come distribuzione, quindi i suoi valori normali sono meglio descritti dalla mediana piuttosto che dalla media aritmetica. |
Metamorfismo | Insieme di processi che portano a variazioni di struttura della neve dopo la sua caduta al suolo. In presenza di gradienti termici molto ridotti si verifica il metamorfismo da equitemperatura: l’acqua che compone i cristalli tende a migrare dalle parti convesse a quelle concave, dando ad essi un aspetto tondeggiante. Quando dagli strati relativamente più caldi e profondi l’aria sale e, raffreddandosi, deposita l’acqua sulle pareti dei cristalli incontrati si ha il metamorfismo da gradiente termico. La velocità e l’intensità del fenomeno sono direttamente proporzionali al gradiente termico stesso. Questo fenomeno dà origine a cristalli a facce piane, talora striate, che possono raggiungere dimensioni di parecchi millimetri ed è responsabile anche della formazione della brina di profondità. Il metamorfismo da fusione si verifica in presenza di temperature del manto nevoso prossime a 0°C e di apporti esterni di calore: si viene così a creare acqua libera che per effetto della gravità tende a scendere interessando gli strati sottostanti. Il successivo raffreddamento del manto nevoso o di parte di esso causa il rigelo dell’acqua di percolazione. Questo fenomeno può dare origine a strati compatti per effetto del rinsaldamento dei legami esistenti fra i singoli grani. Per metamorfismo distruttivo si intende la fase iniziale del metamorfismo da equitemperatura. Metamorfismo costruttivo è un termine equivalente, nei risultati, al metamorfismo da gradiente di temperatura e viene così chiamato perchè partendo da forme relativamente semplici i cristalli assumono forme più complesse. |
meteo | |
meteo liguria | |
meteo riviera ligure | |
meteo Tigullio | |
meteo-pranzo | |
meteoliguria | |
Modello numerico | Programma di calcolo usato per la simulazione dei fenomeni fisici che avvengono in atmosfera. Di solito i modelli sono molto complessi e richiedono potenze di calcolo notevoli. Sono strumenti indispensabili per fare previsioni oltre le 24 ore di anticipo. |
monitoraggio | |
Monsone | Vento periodico che spira sulle regioni dell'Asia orientale e sud-orientale. |
Moti convettivi | L’aria si muove perché la superficie terrestre viene riscaldata in modo diseguale. Al variare della temperatura, varia la densità dell’aria e quindi la pressione atmosferica, si formano quindi delle forze che tendono a ripristinare l’equilibrio barico, mettendo in moto l’aria. Come nella realtà ciò avvenga è piuttosto complesso, perché molte sono le variabili che entrano in gioco, ma in termini ideali la cosa è piuttosto semplice. Prendendo a prestito il classico esempio della pentola d’acqua posta su un fornello, avremo che l’acqua immediatamente sopra la fonte di calore si riscalda e dilatandosi diviene più leggera e si porta verso l’alto, determinando una parziale diminuzione di pressione sul fondo della colonna centrale e un aumento di pressione in superficie. Si è, in tal modo, creata una disomogeneità barica tra la colonna centrale, sopra il fornello, e le pareti laterali (fredde), nascono così delle forze che tendono a ripristinare l’equilibrio alterato, mettendo in moto l’acqua: dal centro verso le pareti, in superficie, e dalle pareti verso il centro, sul fondo. Avremo così, quella che, in termini tecnici, assume il nome di cella convettiva. Il sistema appena descritto vale anche in atmosfera ogni qual volta il sistema di circolazione sia di dimensioni relativamente limitate (a partire dalle decine di metri fino alle decine di chilometri come nel caso delle brezze). In termini generici, i moti delineati caratterizzano anche la circolazione generale dell’atmosfera terrestre, determinata dalla differente insolazione tra polo ed equatore. Su grandi scale però altri fattori, conseguenza della rotazione terrestre e della diseguale distribuzione di mari e terre emerse, divengono importanti, determinando così, ad esempio, la formazione della fascia dei grandi anticicloni perenni, come l’Anticiclone delle Azzorre, ma anche di venti superficiali caratteristici come gli alisei. Le aree più favorevoli all’instaurarsi di celle convettive a piccola o media scala sono quelle ove il suolo presenta grande varietà per copertura e per natura (brezze mare-terra), o dove il terreno risulti particolarmente accidentato (brezze valle-monte), infatti, la variabilità di pendenza crea una disomogeneità di riscaldamento in conseguenza della diversa esposizione del suolo ai raggi solari. Comunque, i moti che si instaurano a piccola scala, come tra città e periferia rurale o anche tra un campo e il bosco vicino, sono certamente i più frequenti e quelli che rivestono particolare interesse anche sotto un punto di vista meteorologico. Le correnti ascensionali dei moti convettivi a piccola scala, chiamate tecnicamente termiche, possono spingersi fino ad altezze, anche ragguardevoli, e sono abilmente sfruttate da uccelli o dai volovelisti per mantenersi in quota a lungo. In prossimità del suolo, le termiche, sono visualizzate da un curioso effetto di tremolio dell’aria. Analogamente il "ballo" a cui è sottoposto una aereo durante le ore più calde dei giorni estivi è dovuto, appunto, alla presenza di correnti ascensionali, intervallate, nello spazio di poche centinaia di metri, a correnti discendenti e facenti parte di più celle convettive. I moti convettivi a piccola scala svolgono un ruolo della massima importanza negli avvenimenti meteorologici, in quanto, in presenza di aria umida, i rapidi moti ascensionali danno luogo alla formazione di nubi a grande sviluppo verticale che portano a piogge a carattere violento (rovesci, temporali…), eventi caratteristici dei pomeriggi estivi. |
Naso padano | Con "naso padano" o "ansa anticiclonica" s'intende quella distorsione barica localizzata in Pianura Padana durante il semestre freddo. Si parla di "naso" o "ansa" proprio perchè, pur in condizioni cicloniche, in corrispondenza delle bassure piemontesi ed emiliane noi troviamo un' area di alta pressione. Se si volesse rappresentare il suddetto quadro a livello tridimensionale, si dovrebbe disegnare una montagna circondata da zone "affossate", depresse per l'appunto. Esistono due tipi di "naso", entrambi funzionali alla causa ligure. - Il primo trova la sua ragion d'essere nello "stagnamento" di aria fredda nei bassi strati padani, accumulatasi magari in seguito ad una colata da E, o per irraggiamento terrestre notturno in condizioni anticicloniche (stiamo parlando dei mesi invernali ovviamente). Questo deposito di aria fredda, che sappiamo essere più pesante e densa di quella calda, causa un incremento della pressione rispetto alle aree immediatamente circostanti. - Il secondo invece vede la sua genesi grazie al sollevamento orografico (o effetto "stau") che il richiamo umido meridionale, in seno ad una depressione in entrata, pone in essere sui versanti italici della catena alpina, che assieme a quella appenninica (ligure e tosco-emiliano) funge da contenitore chiuso, al cui interno dunque v'è un fisiologico aumento pressorio. Un esempio calzante è dato della bottiglia di plastica in cui si soffia fino a farne appannare le pareti. Ai fini liguri: il delta barico (e termico) che si instaura tra la Pianura Padana e la costa favorisce l'attivazione di quel singolare fenomeno chiamato tramontana scura. |
Nebbia | Fenomeno meteorologico caratteristico degli strati atmosferici prossimi al suolo. La nebbia è costituita da minutissime goccioline (diametro tra i 10 e i 30 micron) originate dalla condensazione del vapore d'acqua, in sospensione nell'atmosfera, troppo piccole per precipitare come la pioggia. La loro densità può variare da circa 50 a 1000 per centimetro cubo. |
Nembostrati (sigla: ns) | Sono nubi basse e/o medie, generalmente grigio scure; vi sarà difficile riconoscere la loro base, spesso non ben definita. Quando li osserverete, il cielo si presenterà buio e tetro, spesso per la loro presenza si devono accendere le luci della macchina. Sono nuvole di cattivo tempo e, in relazione alla temperatura presente in zona, possono generare piogge o nevicate. |
Neve | Idrometeora costituita da precipitazione di piccoli cristalli d'acqua congelata, dalla forma stellata a sei punte. La neve si forma quando la pioggia attraversa strati atmosferici con temperatura prossima allo zero. I cristalli si uniscono a formare soffici fiocchi la cui densità varia da 1/5 ad 1/10 rispetto a quella dell'acqua. |
neve liguria | |
Nevischio | Precipitazione di granuli di ghiaccio, molto debole e con diametro inferiore al millimetro. |
Nubi | Le nubi sono un insieme di gocce d'acqua e di cristalli di ghiaccio sospesi nell'aria. Le nubi si formano in seguito alla condensazione o sublimazione del vapore acqueo saturo contenuto nell'aria. La condensazione nelle nubi avviene attorno ai nuclei di condensazione, particelle microscopiche composte di sali igroscopici, acqua o cristalli di ghiaccio. Le goccioline d'acqua e i cristalli di ghiaccio così formatisi, del diametro di decine di micron, sono mantenuti in sospensione nell'aria dalle correnti verticali o dalla turbolenza provocata dal vento orizzontale. Le nubi possono assumere uno sviluppo verticale, orizzontale a banchi o orizzontale a strisce. Una nube può formarsi per afflusso di vapore acqueo in una massa d'aria (ad esempio per evaporazione dell'acqua contenuta nel suolo o nel mare), oppure per abbassamento della temperatura dell'aria sino alla temperatura di condensazione del vapore acqueo in essa presente. Classificazione delle nubi: - Nubi alte: • cirri: sono piccole nubi con forme a banchi o a strisce, di colore bianco; • cirrocumuli: si dispongono ad increspature, strisce e piccoli fiocchi formando quello che viene chiamato cielo a pecorelle; • cirrostrati: formano un velo bianco trasparente. - Nubi medie: • altocumuli: hanno forma molto variabile, possono essere a banchi o continue; • altostrati: formano una distesa nuvolosa informe e grigia; • nembostrati: sono le tipiche nubi di pioggia, grigie, scure, opache. - Nubi basse: • stratocumuli: formano una coltre grigia o biancastra con bande scure; • strati: formano un caratteristico strato grigio, spesso producono pioviggine o nevischio; • cumuli: nubi bianche, separate le une dalle altre, con sviluppo verticale; • cumulonembi: sono l'estremo sviluppo verticale dei cumuli, hanno l'aspetto di una torre. |
Nubi stratiformi e cumuliformi | Ogni volta che osserviamo un cielo nuvoloso ci rendiamo conto della grandissima varietà di forme, a volte bizzarre e affascinanti, che possono assumere le nubi: anche alle nuvole, così come alle piante o ai minerali possiamo dare un nome. In meteorologia la classificazione più fondamentale è quella che fa riferimento allo sviluppo verticale della nuvolosità; distinguiamo infatti le nubi stratiformi dalle nubi cosiddette cumuliformi. Le prime, come suggerisce il nome, risultano sviluppate prevalentemente lungo la direzione orizzontale, talora nella forma di sottili veli ad alta quota, come pure in quella di bassi e densi cuscini estesi per centinaia di chilometri. I cumuli invece hanno di norma uno sviluppo verticale almeno dello stesso ordine di grandezza di quello orizzontale; sono cumuli sia gli innocui batuffoli tipici di un tranquillo pomeriggio estivo, sia le minacciose nubi temporalesche che producono i temporali più violenti. La classificazione descritta ha un preciso significato che rimanda alla genesi della nube: la nube stratiforme è il risultato della condensazione del vapore in condizione di correnti ascendenti deboli o addirittura in aria completamente ferma (pensiamo, ad esempio alle nebbie), mentre i cumuli si formano in corrispondenza di masse d’aria umida che salgono piuttosto rapidamente. Anche il tipo di precipitazione di norma è diverso a seconda che si origini da una nube stratiforme o da una nube a sviluppo verticale; dagli strati si hanno di solito piogge deboli o moderate; invece dai cumuli (in particolare dai cumulonembi) cadono le piogge più violente, o la grandine. Solo in questo tipo di nube, infatti, i moti verticali sono abbastanza intensi da mantenere ‘a galla’ le gocce di pioggia più grosse e pesanti. |
Nuvolosità | E’ il grado di copertura del cielo. Viene valutato in ottavi. Sereno /Poco nuvoloso, cielo senza nubi o con pochissima copertura nuvolosa (massimo 3/8 di copertura). Nuvoloso Cielo in buona parte occupato da nubi (4-5/8 di copertura). Molto nuvoloso/Coperto, cielo senza o con pochissime zone libere da nubi ( 6/8 di copertura) |
Omotermia | Si tratta della peculiare condizione atmosferica per cui in una più o meno ristretta area geografica il gradiente termico verticale è nullo; in altre parole, la temperatura è la medesima lungo tutta la colonna d'aria. È un fenomeno particolarmente frequente nel periodo dell'anno compreso tra il tardo Inverno e la Primavera, e interessa soprattutto le zone pianeggianti e pedemontane del basso piemonte, l'entroterra savonese (Val Bormida, valle dell'Erro, val d'Orba), e la porzione più occidentale dell'appennino genovese (Valle Stura, Valle Scrivia). Le dinamiche e i meccanismi con cui esso si verifica sono ancora in gran parte sconosciuti, ma ciò che sicuramente rileva in queste circostanze, oltre naturalmente alla conformazione orografica e all'esposizione più o meno diretta al cuscino padano, è il rovesciamento freddo al suolo indotto dall'intensità delle precipitazioni. |
Orografia | Natura di una regione rispetto ai rilievi che la caratterizzano. La conformazione del suolo in una zona soggetta alla caduta di valanghe influenza notevolmente la possibilità che il fenomeno si verifichi. -CRESTA: Linea di congiungimento di due versanti montuosi opposti che si uniscono a tetto. Separa versanti a diversa esposizione. -VERSANTE: Fianco di una montagna o di una catena di montagne uniforme per esposizione. -PENDIO: Parte di un versante caratterizzato da uniformità di pendenza. -CANALONE: E’ una stretta incisione in un pendio, caratterizzata da forti pendenze. |
Ozono | Gas la cui molecola è formata da tre atomi di ossigeno (O3) presente soprattutto nella stratosfera. L'ozono stratosferico, compreso in una fascia tra i 15 ed i 60 km di quota, è molto importante per la sua azione di filtro sulla radiazione ultravioletta proveniente dal sole. L'Ozono è presente anche in troposfera prodotto dall'azione della radiazione solare sullo smog |
Pascal (Pa) | Unità di misura della pressione: 1 Pa = 1 N/m2 (newton su metro quadro). |
Perturbazione | |
petronio | |
piogge | |
Pioggia | Precipitazione atmosferica allo stato liquido. La caduta di pioggia si verifica quando le correnti d'aria verticali nella nube non riescono più a vincere il peso delle gocce d'acqua che si sono accresciute al suo interno. Le gocce che si formano scendono prima molto lentamente, perchè incontrano una forte resistenza da parte dell'aria. Poi acquistano via via una velocità sempre maggiore, ingrandendosi. Il diametro delle gocce di pioggia varia tra 1 e 3 mm. Talvolta, comunque, può raggiungere anche i 7 mm. |
Pioggia Forte | Nei resoconti delle osservazioni meteorologiche la quantità di pioggia caduta viene espressa in millimetri ed ogni singolo millimetro equivale ad un litro di acqua piovana caduta su un metro quadrato di terreno. Ci si può trovare quindi di fronte a lunghe serie storiche di millimetri caduti il tal giorno tra l’ora "x" e l’ora "y" ma le quantità di pioggia registrate potrebbero essere cadute con diverse modalità. Infatti tot millimetri sono dati dall’intensità della pioggia moltiplicata per la durata della pioggia stessa: una pioggerellina debole ma continua potrebbe quindi lasciare al suolo lo stesso quantitativo di acqua di uno scroscio di pioggia breve ma intenso. Sotto questa luce poniamo quindi l’attenzione a cosa si intende in sede di cronache o di previsioni parlando di piogge forti o piogge abbondanti: entrambe indicano precipitazioni in grado di fornire grosse quantità di pioggia ma le prime con episodi anche brevi ma intensi, le seconde con piogge deboli ma prolungate nel tempo. Le piogge forti si verificano in genere nei rovesci o temporali provocati dalle nubi cumuliformi con un vasto sviluppo lungo la verticale mentre le piogge abbondanti accompagnano in genere le nubi stratiformi che si estendono orizzontalmente anche per centinaia di chilometri favorendo fasi piovose prolungate. Naturalmente non è escluso che piogge abbondanti e quindi prolungate possano essere anche di moderata o forte intensità anche per alcune ore: si tratta fortunatamente di un evento raro perchè in tal caso si ha quasi la certezza che l’area interessata corre seri rischi di alluvione ! |
Pluviometro | Strumento per la misurazione della quantità di pioggia caduta. Il tipo più semplice è costituito da un cilindro con la parte inferiore a forma di imbuto e collegata ad un vaso graduato. Se è dotato di un galleggiante collegato ad una punta scrivente, l'apparecchio si trasforma in un pluviografo. La misurazione della pioggia caduta viene ottenuta dividendo il volume di acqua raccolta per la superficie del cilindro, ottenendo così un'altezza che viene espressa in millimetri. |
Precipitazione nevosa | Precipitazione solida, generata dalla sublimazione del vapore acqueo e/o dalla cristallizzazione delle gocce d’acqua, che si verifica in presenza di temperature sufficientemente basse. L’intensità della precipitazione è normalmente espressa in centimetri/giorno, mentre la quantità è espressa in centimetri. |
Precipitazioni | Sono le forme liquide o solide che assume il vapore acqueo atmosferico quando precipita al suolo. Le precipitazioni possono manifestarsi in forma di gocce d’acqua (pioggia) o di agglomerati di cristalli di ghiaccio (neve e grandine). Rientrano in questa categoria anche fenomeni come la rugiada e la brina. I diversi tipi di precipitazione dipendono dalle dimensioni delle goccioline di nube e dall'andamento dei moti d'aria all'interno delle nubi. |
Pressione atmosferica | “La pressione atmosferica è il peso per unità di superficie esercitato dalla colonna d'aria sovrastante. Varia quindi con l' altezza verticale e da luogo a luogo in quanto dipende dalla densità dell'aria sovrastante. Si misura in Pascal (Pa), molto usato in meteorologia è il suo multiplo, l’ettopascal (hPa).” Per capire che cosa è la pressione atmosferica si pensi alla colonna d’aria che si estende da una certa zona sulla superficie terrestre fino alla cima dell’atmosfera. Il peso di questa colonna d’aria è proprio quello che determina la pressione al suolo. Per misurare questa variabile atmosferica viene utilizzato l’ettopascal (hPa). Un hPa equivale ad un millibar (mb), unità di misura utilizzata fino a qualche tempo fa. Al livello del mare, la pressione può oscillare tra i 950 hPa e i 1050 hPa. Man mano che si sale di quota si assiste ad una sua diminuzione e questo avviene perché più si sale verso l’alto, minore è lo spessore della colonna d’aria tra la quota raggiunta e la cima dell’atmosfera. Sarà, quindi, minore il suo peso a quella quota. Ma come mai la pressione varia durante il giorno? Il motivo principale risiede nella variazione della temperatura della colonna d’aria. Infatti un suo riscaldamento rende l’aria meno densa e quindi più leggera. Questo è il motivo per cui, solitamente, durante le ore più calde del giorno, in seguito al riscaldamento del suolo e di conseguenza dell’aria negli strati più bassi, si ha un minimo di pressione. Di notte invece la colonna d’aria si raffredda e quindi si ha un aumento del suo peso, ossia della pressione. Naturalmente la pressione può cambiare anche per il movimento delle masse d'aria: nella stessa colonna può entrare o uscire aria per cui se quella che entra è maggiore di quella che esce assisteremo ad un aumento di pressione, viceversa si avrà una sua diminuzione. L’oscillazione diurna descritta sopra è quindi valida in linea di massima, bisogna, cioè, tenere conto anche della variazione del contenuto d’aria nella colonna che stiamo considerando. Perché di solito alle basse pressioni si associano nubi e piogge? Nel caso di basse pressioni generate da riscaldamento per soleggiamento ciò è dovuto all’ascesa dell’aria calda. Durante questo processo si ha il suo raffreddamento e quindi la sua condensazione, di seguito si ha la formazione di nuvolosità ed eventualmente piogge. Per le basse pressioni associate alle perturbazioni, la nuvolosità è spiegabile con considerazioni di dinamica atmosferica. Le zone di alta pressione, invece, tengono lontane le nubi: queste zone sono caratterizzate da aria fredda che scende verso il suolo e che va in contro a compressione. Questo scongiura la condensazione e favorisce cielo sereno. |
Previsione | Previsione dello stato futuro dell’atmosfera con specifico riguardo a uno o più fattori meteorologici ( precipitazioni, venti, temperature, ecc.) anche fra loro associati. La parte meteorologica dei bollettini valanghe ha una validità che può variare da 24 a 72 ore. Previsione del pericolo valanghe Previsione dell’attività valanghiva sulla base dello stato del manto nevoso e delle previsioni del tempo, con particolare riguardo alla incidenza sulle attività umane. Normalmente essa viene fatta con specifico riguardo al tipo di distacco, tipo di valanghe e localizzazione geotopografica dei fenomeni. |
previsioni | |
previsioni inverno 2016 | |
Primavera | La primavera, che per gli studiosi di meteorologia si colloca tra il 1° marzo e il 31 maggio, rappresenta senza dubbio una stagione molto attesa da tutti, poiché si manifesta attraverso una molteplicità di fattori che influenzano in maniera positiva la nostra psiche, visto che hanno come fulcro il risveglio di tutta la natura dopo il "recupero di energie" invernale. Molti di questi fattori sono legati alla situazione particolare del clima che diviene sempre più gradevole man mano che la stagione progredisce verso l’estate. I più evidenti fattori meteorologici sono: • la progressiva risalita (in media) della temperatura dell’aria che, finalmente, spezza la morsa del freddo invernale; • un più frequente passaggio di sistemi nuvolosi carichi di piogge che possono risultare anche copiose su molte delle nostre regioni, soprattutto al Centronord. La primavera, così come l’autunno, rappresenta il passaggio tra le due stagioni estreme dell’anno: come tale si deve addossare anche tutti i "traumi" derivanti dal vivace rimescolamento fra aria calda che tenta di instaurarsi di nuovo da noi, dopo essere "migrata" altrove per svernare, e le insistenti e "nostalgiche" irruzioni di aria ancora piuttosto fredda dal nord (che sovente vengono chiamate "colpi di coda dell’inverno", specialmente se avvengono tra aprile e maggio); questo contrasto dà luogo, appunto, ad un maggior numero medio di perturbazioni in transito sul nostro Paese rispetto alla precedente stagione; • la sempre maggiore riattivazione dei moti convettivi dell’aria: infatti l’atmosfera si comporta come un immenso "pentolone" pieno di aria che, riscaldata dal basso (il suolo riscaldato dai raggi solari), sale sul punto dove è riscaldata per poi ridiscendere ai bordi. Questi moti sono resi evidenti dalla sempre più frequente presenza di nubi cumuliformi nelle ore centrali del giorno che possono generare anche temporali (detti "di calore") e dalle brezze lungo litorali e valli. La nostra primavera in cifre (i valori riportati sono le medie climatiche): Le TEMPERATURE MINIME notturne oscillano tra i seguenti valori: da +3°C all’inizio di marzo a +14°C alla fine di maggio AL NORD. Da +4°C all’inizio di marzo a +13°C alla fine di maggio AL CENTRO. Da +6°C all’inizio di marzo a +15°C alla fine di maggio AL SUD. Le TEMPERATURE MASSIME diurne registrate mediamente dall’inizio di marzo alla fine di maggio oscillano tra i seguenti valori: da +13°C all’inizio di marzo a +24°C alla fine di maggio AL NORD. Da +14°C all’inizio di marzo a +25°C alla fine di maggio AL CENTRO. Da +13°C all’inizio di marzo a +24°C alla fine di maggio AL SUD. La QUANTITA’ DI PIOGGIA cumulata mediamente dall’inizio di marzo alla fine di maggio oscilla tra i seguenti valori: AL NORD da 150 mm in pianura a 500 mm in molte aree alpine con una media di 26 giorni di pioggia dei quali da 5 a 10 possono essere di temporale, specie su pianura e Prealpi. AL CENTRO da 150 mm in prossimità delle coste a 300 mm nelle aree interne con punte di 400 mm in alcune zone appenniniche per un totale medio di 28 giorni piovosi dei quali da 2 a 7 possono essere di temporale, soprattutto lungo il versante tirrenico. AL SUD da 100 mm su Puglia e buona parte della Sicilia a 300 mm nelle altre regioni con punte di 400 mm in alcune zone interne montuose per un totale medio di 24 giorni piovosi dei quali da 1 a 5 possono essere di temporale. |
Promontori e saccature | Configurazione del campo orizzontale di geopotenziale o pressione caratterizzata da isolinee aperte e da una circolazione anticiclonica. Fra gli strumenti necessari e utilizzati dal meteorologo per la previsione, ci sono le carte isobariche, che rappresentano, alle diverse quote, le linee isobariche, cioè quelle linee continue che uniscono tutti i punti con la medesima pressione atmosferica. La forma e i valori di queste isobare determinano le zone di bassa (ciclone o depressione) o alta (anticiclone) pressione. Le prime sono rappresentate da isobare ellittiche e circolari, caratterizzate da valori di pressione che diminuiscono dalla periferia al centro; le isobare dell’alta pressione hanno forme chiuse irregolari e i loro valori crescono dalla periferia verso il centro. Talvolta, una zona di alta pressione si espande fino ad incunearsi tra due depressioni. Se l’espansione avviene da sud verso nord, le linee isobariche si dispongono a forma di U rovesciata. Questa configurazione si definisce promontorio. Nel caso in cui l’espansione è da est verso ovest, allora, si parla di cuneo. In entrambe le situazioni, il cielo è generalmente sereno o poco nuvoloso, l’atmosfera è limpida e la visibilità è ottima; purtroppo, è una situazione instabile perché questi fenomeni sono di breve durata. Se, invece, la depressione si insacca fra due zone anticicloniche, allora, si parla di saccatura. Le isobare, in questo caso, hanno forma di V o di U. Quando è presente una saccatura sono violenti i rovesci e i temporali. Associate alle saccature, sono le gocce di aria fredda. Queste si formano perché le saccature si allungano a tal punto che la loro parte terminale assume la forma sempre più simile ad una goccia finché si stacca (cut-off). Quando una zona è dominata da una goccia di aria fredda, saranno presenti rovesci e temporali isolati. |
Punto di rugiada | E' la temperatura alla quale è necessario raffreddare l'aria per raggiungere la saturazione del vapore acqueo contenuto in essa, in un processo a pressione costante. Il punto di rugiada è tanto più distante dalla temperatura dell'aria quanto minore è l'umidità contenuta. |
Radar meteorologico | Da tempo la televisione ci ha reso familiari le immagini dei satelliti meteorologici, spesso animate, che mostrano l’avvicendarsi di nubi e cieli azzurri così come li vedrebbe un osservatore posto su una navetta spaziale. Per quanto utili, queste immagini mostrano solo la quantità di nuvolosità: anche per l’occhio dell’esperto talvolta è difficile distinguere quali fra le tante nubi che mostra il satellite siano in grado di dare una precipitazione, e se sì, in che quantità. Lo strumento che risolve questo problema esiste e si chiama radar meteorologico. Il radar meteorologico invia un sottile fascio di radiazione elettromagnetica di lunghezza d’onda opportuna (3-10 cm) lungo tutte le direzioni ed è in grado di raccogliere e interpretare il segnale di ritorno traducendolo in un dato di intensità di precipitazione (pioggia o neve). Per ragioni di ordine fisico, solo le gocce di pioggia riflettono questa radiazione all’indietro verso il rilevatore (secondo un processo fisico noto come ‘dispersione’). E’ importante capire che il radar non ‘vede’ quindi le nubi, perché queste sono composte da goccioline molto più piccole delle gocce di pioggia, e del resto a rilevare la nuvolosità, come detto, ci pensano già i satelliti. Non solo, il segnale del radar, una volta che sia stato opportunamente decifrato, consente di stabilire con buona precisione il luogo in cui è in atto la precipitazione e soprattutto con quale intensità. Le applicazioni di un tale strumento sono evidentemente notevoli, sia per la previsione del tempo nell’arco di poche ore, per la possibilità di seguire il movimento dei nuclei di precipitazione e prevederne lo spostamento (si pensi anche al campo della protezione civile per quanto riguarda i fenomeni più violenti), sia come utilissimo aiuto per una migliore comprensione degli eventi meteorologici, ad esempio con l’opportunità di indagare l’influenza locale della topografia. |
Radazione | Energia elettromagnetica proveniente dal sole (radiazione solare) o dalla superficie terrestre (radiazione terrestre) o scambiata nell'atmosfera. La frequenza della radiazione cade sia nella banda del visibile (energia emessa dal sole per la quale è sensibile l'occhio umano) che in quella dell'infrarosso vicino (emesso dal sole) e lontano (emesso da corpi a temperatura ambiente). L'unità di misura più usata è il watt su metro quadro (W/m2) che indica un flusso di energia per unità di tempo e di superficie. |
Radiosonda | Piccolo trasmettitore radio tirato da un pallone riempito di elio che trasmette a terra i dati di temperatura, umidità, pressione e venti dell'atmosfera a diverse quote. I radiosondaggi sono effettuati da centinaia di stazioni sparse in tutto il pianeta almeno due volte al giorno. I loro dati sono fondamentali per analizzare la situazione attuale dell'atmosfera in quota e fornire le condizioni iniziali ai modelli numerici di previsione. |
Radiosondaggio | Operazione attraverso cui vengono misurate le grandezze che caratterizzano le condizioni termodinamiche dell’atmosfera mediante radiosonda. |
Rapallo | |
rete limet | |
riviera | |
rivieraligure | |
rossby | |
Rovesci | In primavera è frequente che la pioggia cada sotto forma di rovescio. Ma cosa si intende per rovescio? Per rispondere facciamo un passo indietro e diamo una definizione del tipo di pioggia in base alla quantità di acqua caduta e alla durata dell’episodio piovoso. In meteorologia la pioggia si misura solitamente in millimetri: 10 mm di pioggia equivalgono a 10 litri d’acqua caduti su una superficie di 1m2. Fino a 2 mm in un’ora si parla di pioggia debole; tra 2 e 6 mm/h la pioggia diventa moderata; oltre i 6 mm/h si definisce forte, e se si passano i 10 mm/h si può anche parlare di rovescio; se poi si superassero i 30 mm/h ci troveremmo nel bel mezzo di un nubifragio! Le conseguenze che un episodio piovoso può portare dipendono però non solo dalla quantità d’acqua caduta in un’ora, ma anche dalla durata del fenomeno stesso, ed il rovescio per sua natura è un fenomeno che raramente dura più di un’ora. La sua breve durata è dovuta principalmente alle cause che portano alla formazione di un rovescio: è l’instabilità atmosferica, che si genera nelle ore centrali della giornata, a generare quelle imponenti nubi in grado di dar luogo poi a rovesci e temporali. Proprio per questo legame con l’instabilità atmosferica i rovesci sono più frequenti in prossimità dei rilievi, lungo i pendii rivolti al sole, laddove il suolo si scalda più che nelle zone pianeggianti. |
Rovescio | Precipitazione violenta di breve durata che inizia e termina bruscamente. |
Rugiada | Fenomeno atmosferico che consiste nel deposito di goccioline di acqua su oggetti esposti all'aperto. La rugiada si forma quando gli oggetti, durante la notte, si raffreddano più dell'aria circostante densa di umidità. La diminuzione di temperatura provoca la condensazione dell'umidità in piccole gocce. |
Saccatura | Configurazione del campo orizzontale di geopotenziale o pressione caratterizzata da isolinee aperte e una circolazione ciclonica. |
Satelliti meteorologici | I satelliti meteorologici o, meglio le immagini inviateci dallo spazio da questi satelliti, sono forse lo strumento che più affascina i non addetti ai lavori che si avvicinano al mondo delle previsioni tant'è che spesso i satelliti sono considerati in modo sbrigativo la chiave "magica" in possesso dei meteorologi che apre loro le porte ad una previsione indovinata. Ma cosa c'è di vero dietro questa opinione diffusa ? E' così importante questo "terzo" occhio dallo spazio che ha mosso i primi passi negli anni 60 (più esattamente l'1 Aprile del 1960 quando fu lanciato dagli Usa il primo di dieci satelliti denominati Tiros) ? Per dare una risposta cominciamo dal dire senza eccessi di carattere tecnico cosa sono e come operano i satelliti meteorologici. Distinguiamo innanzitutto due tipi di satelliti, quelli "geostazionari" e quelli "polari". I primi mantengono una posizione fissa rispetto alla terra perché ruotano sul piano equatoriale con la stessa velocità angolare di rotazione del nostro pianeta. Il Meteosat, le cui immagini diffuse in molti bollettini meteo televisivi ci sono ormai familiari, si trova immobile ai nostri occhi sulla verticale uscente dai 0 gradi di latitudine e 0 di longitudine ad una distanza dalla terra di 35786 chilometri dalla superficie terrestre. Il compito di questi satelliti è quello di osservare una porzione di terra che va dai 60° nord ai 60° sud e un sistema di 5 satelliti equispaziati consente di coprire tutta la fascia compresa tra le suddette latitudini. I satelliti polari invece si muovono rispetto ad un osservatore sulla terra, che li vede spostarsi con una traiettoria simile ad un otto, ma il loro moto si ripete esattamente ogni 24 ore per cui ogni giorno alla stessa ora il satellite "sorvolerà" una particolare porzione della terra. Il loro compito, complementare a quello dei satelliti geostazionari, è quello di osservare le alte latitudini della terra, quelle oltre i 60° gradi. Ma cosa vuol dire osservare la terra ? Vuol dire acquisire con la strumentazione a bordo del satellite immagini nel campo del visibile (come in una foto), dell'infrarosso e in quella, dal significato meno immediato, del vapore acqueo. Queste immagini a loro volta permettono di dedurre in modo diretto o indiretto molti dati: dall'analisi dei sistemi nuvolosi e del loro moto, a stime del vento in quota, alla temperatura dei mari e delle terre emerse, all'estensione delle nevi e dei ghiacciai....ecc. Quindi una sola immagine da satellite, grazie alla sua posizione privilegiata, fornisce più dati di qualsiasi rete di osservazione a terra. Ma torniamo quindi ai quesiti di partenza. Fino ad ora abbiamo parlato di osservazioni ossia dell'analisi di cosa sta accadendo nell'atmosfera nel momento in cui il satellite "butta l'occhio" verso la terra e non di cosa accadrà sempre in atmosfera nel futuro. Tutta mal riposta quindi questa fama di strumento magico per la previsione del nostro tempo di domani ? Non proprio perché la conoscenza di cosa accade ora in atmosfera è di fondamentale importanza per stimare cosa accadrà domani e quindi per prevedere. I modelli fisico-matematici, dal nome un po' altisonante, i cui output giornalieri sono il vero strumento di lavoro quotidiano per i meteorologi impegnati a sfornare previsioni, in realtà non possono prescindere nelle loro elaborazioni dalla conoscenza della situazione iniziale dell'atmosfera. Il tempo di domani è infatti figlio del tempo di oggi e quanto più è accurata la conoscenza dell'oggi tanto più accurate saranno le previsioni per domani. Ed è qui che i satelliti giocano un ruolo determinante nella buona riuscita di una previsione: infatti aiutano a conoscere l'oggi dell'atmosfera sia coprendo in termini di acquisizione dati aree come quelle oceaniche o desertiche dove le osservazioni al suolo sono scarse, sia integrando la rete di osservazioni eseguite con i palloni sonda e quindi aumentando la mole di dati a disposizione in quota. Qualche cenno finale ai nostri Meteosat: attualmente sono attivi il 4°, il 5° ed il 6° di una serie iniziata con il primo lancio datato 23 Novembre del 1977. Il loro compito, oltre che di telecomunicazione dei dati meteorologici stessi tra i vari utenti a terra, è quello di fornire immagini ogni 30 minuti nel visibile con una risoluzione spaziale sulla superficie terrestre di 2,5 per 2,5 chilometri e nell’infrarosso con una risoluzione di 5 per 5 chilometri. Il futuro è invece costituito dagli MSG (Meteosat Second Generation) che forniranno un maggior numero di immagini, con una risoluzione migliore e con maggiore frequenza, ogni 15 minuti. Il primo lancio è fissato per l’Ottobre del 2000 ed il programma prevede l’invio di MSG-2 ed MSG-3 nel 2002 e nel 2003. |
Savona | |
Scabrosità | Presenza di asperità su un terreno (substrato litologico, vegetazione). Maggiore è la scabrosità e minore, a parità di pendenza, lo slittamento del manto nevoso. |
Scaricamenti | Movimenti del manto nevoso analoghi alle valanghe ma di dimensioni troppo esigue per essere ascritti ad esse. |
Scirocco | Vento tipico delle regioni Mediterranee, proveniente da sud-est, portatore sull'Italia di aria calda e umida. |
sestri levante | |
Sigle, codici e unità di misura | Leggendo un libro di meteorologia, ascoltando una previsione o consultando una carta o un bollettino meteorologico è facile incappare in strani codici e sigle il cui significato non sempre è noto o intuibile. Si tratta nella maggior parte dei casi di semplici abbreviazioni di parametri meteorologici o di unità di misura di grandezze fisiche, ma molto spesso le lettere utilizzate sono le iniziali di parole inglesi e non è quindi facile risalire al loro significato. Di seguito vengono elencate le sigle più frequentemente utilizzate in meteorologia, con una breve spiegazione a lato. Sigle, codici, unità di misura |
Smog | Termine inglese (smoke, fumo, e fog, nebbia) con il quale si indica la nebbia nerastra con alta concentrazione di fumi e gas. Lo smog si forma, soprattutto d'inverno, sui centri e sulle zone industrializzate, quando vi si determina uno stato di inversione termica. Mancando i moti convettivi dell'aria , negli strati più vicini al suolo si origina nebbia nella quale si concentrano, in sospensione, i fumi ed i gas prodotti dall'attività umana. |
sostienici | |
Stabilità | Condizione in genere di bel tempo con cielo sereno o poco nuvoloso e venti deboli. In genere, il tempo si dice stabile quando si è in un regime altopressorio. |
Stau | Fenomeno per cui una massa d'aria, costretta da una particolare conformazione orografica, tende a sollevarsi, raffreddandosi quindi. Il contestuale aumento di umidità relativa provoca la formazione di nubi, e la conseguente insorgenza di precipitazioni. |
Strati (sigla: St) | Sono nubi molto basse, le vedrete talvolta a pochi metri sull'orizzonte, grigie, con la base estesa e uniforme; il loro sviluppo verticale è molto contenuto, e può raggiunge altezze inferiori ai 300 metri. Si possono presentare a banchi o coprire totalmente il cielo, spesso derivano dalla nebbia formatasi al suolo. Dato il loro limitato spessore, di norma non danno luogo ad alcun fenomeno, se non ad una riduzione di visibilità quando la loro base è molto bassa. |
Strato | Spessore di neve caratterizzato dalle stesse proprietà fisico-meccaniche. Strati superficiali sono quelli posti alla sommità del manto nevoso e che risentono per primi delle condizioni atmosferiche. Strati di fondo sono quelli a contatto con il suolo e ne subiscono necessariamente l’influsso (temperature in genere prossime 0°C, circolazione di aria caldo-umida o addirittura di acqua in fase liquida). |
Stratocumuli ( sigla: Sc ) | Si presentano come una distesa continua di masse cumuliformi (rotondeggianti) oscure, generalmente allungate, il cui aspetto somiglia a rotoli senza una forma precisa, connessi tra loro mediante nubi sottili, attraverso le quali è talvolta possibile scorgere l'azzurro del cielo. Inizialmente potrete scambiarli, avendo una forma abbastanza similare, con gli altocumuli. Si comportano come gli altocumuli: da soli non provocano alcun fenomeno, se associati a nubi medie possono generare piogge. |
Stratosfera | Strato di aria al di sopra della troposfera, si estende da 11 a 50 km circa di altezza. Essa è caratterizzata da una temperatura quasi costante di circa –60 °C fino a circa 20 km, dove la temperatura inizia a crescere con l'altezza per effetto dell'ozono che assorbe parte della radiazione solare e terrestre. |
Sublimazione | Processo di trasformazione dell'acqua quando passa direttamente dallo stato di vapore a quello solido (ghiaccio) e viceversa. |
Subsidenza atmosferica | Si ha subsidenza atmosferica quando la massa d'aria presente ai piani più elevati dell'atmosfera, a causa del suo maggiore peso, tende a scendere verso i piani più bassi. L'incremento di pressione generato da questo moto discendente, causa a sua volta un aumento della temperatura a livello del suolo. Si tratta di un fenomeno tipico delle zone interessate da condizioni anticicloniche. |
Superficie isobarica standard | Superficie immaginaria costituita da punti alla stessa pressione. Le pressioni di riferimento (standard) per le superfici isobariche sono per convenzione le seguenti: 1000, 925, 850, 700, 500, 300, 250, 200, 150, 100, 70, 50, 30, 20, 10 hPa. |
Temperatura | Grandezza fisica che definisce il livello medio di agitazione delle molecole che costituiscono un corpo. Il calore o l'energia assorbita da un corpo si traduce in un aumento dell'agitazione molecolare e quindi della sua temperatura. In atmosfera la temperatura dell'aria è la misura dell'agitazione delle molecole presenti nell'aria; per una corretta misurazione di quest'ultima bisogna, pertanto, adottare gli accorgimenti necessari affinché lo strumento di misura (termometro) sia in equilibrio termico con l'aria e non sia influenzato dalla radiazione solare o terrestre. |
Temperatura di rugiada | Nella grande mole di informazioni di cui il meteorologo abbisogna per prevedere al meglio il tempo, non poca importanza riveste la misura della temperatura del punto di rugiada. Da questo dato, infatti, si possono ricavare molte informazioni riguardo alle "condizioni di vivibilità" di un dato luogo. Si definisce infatti "Temperatura del punto di rugiada", la temperatura alla quale una massa d’aria umida diventerebbe satura se venisse ulteriormente raffreddata senza subire variazioni di pressione o di contenuto di vapore acqueo. E’ così evidente che, se si continua a raffreddare un volume d’aria a pressione costante, si dovrà arrivare ad una temperatura oltre la quale, qualsiasi raffreddamento successivo determinerà una condensazione. Un esempio pratico di ciò sta nel fatto che, se il punto di rugiada è maggiore di 0°, allora si ha una condensazione liquida (nebbia, rugiada), se invece tale valore si trova al di sotto dello zero si ha la formazione di ghiaccio (brina). Questa considerazione, che potrebbe sembrare banale, riveste particolare importanza per l’agricoltura, dal momento che una brinata può a volte significare la distruzione del lavoro di un anno. Si capisce quindi quanto possa essere importante un’accurata previsione della temperatura di rugiada stessa. Un altro interessante uso che si fa della temperatura di rugiada è quello di servirsene per calcolare l’indice di calore di una determinata zona. Per fare questo si va a confrontare la temperatura massima registrata con la temperatura di rugiada e, a seconda del valore ottenuto, si può stabilire quale effettivamente sia la temperatura avvertita dal corpo umano. Per dare un’idea, si consideri che un indice di calore inferiore a 27° C, è considerato confortevole, mentre tra 27° e 32° vi è un moderato disagio. |
temperature | |
temperature Genova | |
Tempesta | Perturbazione atmosferica, normalmente breve e violenta, dovuta ad una brusca caduta di pressione. Le tempeste possono essere caratterizzate solo da vento a raffiche (tempeste di vento o bufere) o da vento e piogge torrenziali (tempeste di pioggia) o da vento e neve a turbini (tempesta di neve). |
Tempo atmosferico | Insieme degli elementi meteorologici che caratterizzano lo stato dell’atmosfera su un luogo o regione. Esprime le variazioni dell’atmosfera nel breve periodo ed in ciò si distingue dal clima. |
tempo liguria primo maggio | |
Temporale | Fenomeno atmosferico caratterizzato da fulmini e dalla presenza di una nube a forte sviluppo verticale (cumulonembo). Al temporale spesso sono associate precipitazioni di forte intensità, colpi di vento e trombe d'aria. Il temporale si forma per i moti ascensionali di una massa d'aria più calda rispetto a quella circostante. Ogni temporale ha una propria evoluzione caratterizzata da tre stadi: • formazione di cumuli e cumulonembi (stadio dei cumulo); • sviluppo dei moti discendenti e caduta della pioggia (stadio di maturità); • dissipazione del fenomeno con indebolimento dei moti d'aria e progressiva scomparsa della pioggia (stadio finale). |
Temporali | Cronaca di una giornata estiva: il mattino presto il cielo si presenta sereno, bastano però poche ore e compaiono i primi cumuli sui monti, sui pendii che per primi sono stati illuminati dal sole. Il resto della giornata trascorre senza che succeda nulla di particolare, e solo ogni tanto il sole viene oscurato da un cumulo di passaggio. Poi all’improvviso scoppia un temporale di breve durata e la notte che segue è serena e tranquilla. Eventi di questo tipo vengono denominati ‘temporali di calore’, sono innescati dal riscaldamento diurno e il loro raggio d’azione è molto limitato: una vallata alpina, parte di una provincia, talora solamente alcuni quartieri di una città. A pochi chilometri di distanza il cielo può essere del tutto sereno e talora si avverte solo un aumento di intensità ed un cambio di direzione del vento. Il temporale di calore si sviluppa nelle zone continentali in condizioni di debole circolazione atmosferica, anche con pressione relativamente elevata, e la sua origine va ricercata nella formazione di una colonna di aria instabile per cause puramente locali. Non deve sorprendere che anche per la meteorologia moderna il temporale di calore risulta, quantomeno nella previsione classica a ventiquattro ore, una presenza davvero scomoda. Per nostra fortuna, la maggior parte degli episodi temporaleschi ha un’origine dinamica, e questi possono essere previsti dal meteorologo grazie ai modelli numerici in uso. Il temporale di origine dinamica si sviluppa entro una porzione dell’atmosfera che risulta essere instabile anche su lunghezze dell’ordine di centinaia di chilometri. Vi sono i temporali che si sviluppano lungo le superfici frontali (fronte freddo specialmente) e i temporali che nascono dopo il passaggio del fronte freddo in regioni di elevata instabilità dell’aria, a patto che vi sia aria molto fredda in quota e condizioni favorevoli ai moti verticali. Nella realtà l’innesco del singolo temporale può ancora essere condizionato dai fattori locali, specie dall’orografia, ma i forti moti convettivi vengono attivati da cause dinamiche ‘esterne’ che sono, in generale, le stesse che concorrono allo sviluppo della nuvolosità e delle piogge non temporalesche. Avremo dunque temporali su diverse località, e magari più episodi consecutivi. Non è difficile imparare a classificare il tipo di temporale a cui abbiamo assistito: se l’evento è generato da un fronte freddo il barometro segnalerà prima un calo, poi un sensibile aumento della pressione, diversamente la lancetta del barometro si sarà mossa di poco; se il temporale si sviluppa entro un nucleo di aria fredda non mancheremo di osservare la brusca discesa della temperatura soprattutto durante la precipitazione, ma che perdura anche nelle ore successive, mentre il temporale di calore ha un effetto ‘rinfrescante’ di breve durata, spesso limitato solo al momento dei rovesci. Più in generale, ovviamente, i temporali che osserviamo all’interno di un periodo di tempo perturbato, che sono preceduti da piogge o che sono seguite da altre ore di maltempo, senza necessariamente un cambio della massa d’aria, hanno sempre un’origine dinamica. |
Tendenza barometrica | Variazione della pressione sul livello del mare nelle tre ore precedenti. La tendenza viene misurata sia come variazione della pressione in hPa sia come caratteristica, ossia il modo in cui è diminuita o aumentata. La tendenza viene rappresentata sulle mappe meteorologiche per seguire lo spostamento dei fronti |
Termoconvezione | Fenomeno tipico delle zone montuose durante la stagione estiva. Moti di natura ascensionale trasportano verso l'alto la massa d'aria calda presente al livello del suolo che, raggiunta una determinata quota, tende ad evaporare. Lo scontro con una massa d'aria più fredda provoca la genesi di nubi cumuliformi. Se le condizioni lo consentono le suddette possono evolvere in vere e proprie strutture temporalesche. |
Termometro | Strumento di misurazione della temperatura. Le misure avvengono sempre in modo indiretto, sfruttando cioè alcuni effetti che la temperatura produce sui corpi. Si hanno: • termometri a dilatazione, quando la misura si ricava dalle variazioni di volume o di pressione; • termometri elettrici, quando si fonda sulle variazioni di resistenza elettrica; • termometri magnetici, quando si basa sugli effetti magnetici. |
Tifone | Violenta tempesta tropicale (ciclone tropicale) che si manifesta nel Pacifico occidentale. I fenomeni sono molto simili a quelli degli uragani dell'Atlantico, caratterizzati da venti superiori ai 100 km/h e piogge torrenziali. |
Tornado | Fenomeno atmosferico consistente in un vortice d'aria animato da grande velocità di rotazione (circa 200 km/h). Le trombe d'aria hanno un diametro di qualche decina di metri e sono dovute a moti convettivi locali dell'aria per cui si formano due coni con i vertici in comune. Il cono superiore si allunga e si inclina a seconda delle condizioni atmosferiche locali. L'altezza della tromba d'aria è di qualche centinaio di metri e la colonna si sposta a velocità non superiore ai 60 km/h. Il turbine d'aria può manifestarsi lontano dal suolo oppure toccare la superficie terrestre. In tal caso provoca gravi danni su un tragitto medio di pochi chilometri poichè aspira qualsiasi oggetto amovibile. La tromba d'aria prende il nome di tornado negli Stati Uniti. Le trombe d’aria rappresentano il fenomeno meteorologico più violento che si può verificare nell’area mediterranea. Si tratta in pratica di un vortice ruotante in senso ciclonico (cioè antiorario) che ha origine e discende dalla base di un cumulonembo; spesso infatti le trombe d’aria si manifestano in concomitanza di temporali piuttosto violenti. Il tipico aspetto di una tromba d’aria è quello di una colonna nuvolosa, a forma di imbuto, che si protende fino al suolo, ove si allarga a forma di proboscide raggiungendo un diametro di 50-150 metri. Al centro del vortice la pressione raggiunge valori molto bassi; ed è proprio il dislivello barico tra il centro e la periferia del vortice, che è di circa 20-30 hPa, a risucchiare l’aria verso l’interno e a costringerla a girare intorno al centro di bassa pressione, con velocità prossime ai 100-150 km/h. Una tromba d’aria di solito ha un ciclo vitale che non supera i 30 minuti, nei quali percorre qualche decina di chilometri; i danni che provoca lungo il suo percorso non sono tanto causati dal dall’effetto del vento sugli ostacoli incontrati, quanto dalla forza d’urto dell’aria che viene risucchiata dalle zone circostanti verso il minimo al centro del vortice stesso. Le violenti correnti ascendenti all’interno del vortice proiettano inoltre verso l’alto gli oggetti ed i detriti risucchiati. Condizioni favorevoli all’innesco di una tromba d’aria sono quelle caratterizzate da un’elevata instabilità atmosferica che si sviluppa per esempio quando uno strato di aria fredda viene a trovarsi sovrapposto ad una massa d’aria molto calda e umida che staziona in prossimità del suolo. Quando l’equilibrio tra le due differenti masse d’aria si rompe, l’aria più calda viene bruscamente aspirata verso l’alto, richiamando aria dalle zone circostanti. Situazioni come quella appena descritta possono verificarsi in Valpadana nel periodo estivo, quando un flusso di aria fresca dal Nordeuropa va a sovrastare l’aria calda ed umida stagnate al suolo dopo un lungo periodo di bel tempo. In Italia le zone maggiormente colpite dal fenomeno delle trombe d’aria sono le aree pedemontane alpine, il Friuli, il Ponente Ligure, le coste dall’alta Toscana e del Lazio e la Sicilia orientale. La probabilità un dato luogo sia investito da una tromba d’aria è però molto bassa, sia per la rarità del fenomeno che per la ristretta area da esso interessata. |
Tramontana | Vento freddo ed asciutto che spira con direzione prevalente da nord |
Tramontana scura | Freddo e secco vento di origine padana che nei mesi invernali, attraverso i modesti valichi appenninici di spartiacque (Cadibona, Giovo, Turchino, Giovi, Orero, Creto, Scoffera), spira con veemenza sul settore centrale della Liguria. L'attivazione di tale corrente trova la sua ragion d'essere nell'instaurazione di un gradiente barico (differenza di pressione atmosferica) tra la pianura piemontese e la costa ligure. Sappiamo infatti come le masse d'aria tendano sempre a spostarsi dalle zone di alta pressione a quelle di bassa pressione. |
Travaso | Termine coniato da Limet per indicare la "tracimazione" attraverso i valichi appenninici di aria fredda di origine padana, la Tramontana scura. |
Tromba d'aria | Fenomeno atmosferico consistente in un vortice d'aria animato da grande velocità di rotazione (circa 200 km/h). Le trombe d'aria hanno un diametro di qualche decina di metri e sono dovute a moti convettivi locali dell'aria per cui si formano due coni con i vertici in comune. Il cono superiore si allunga e si inclina a seconda delle condizioni atmosferiche locali. L'altezza della tromba d'aria è di qualche centinaio di metri e la colonna si sposta a velocità non superiore ai 60 km/h. Il turbine d'aria può manifestarsi lontano dal suolo oppure toccare la superficie terrestre. In tal caso provoca gravi danni su un tragitto medio di pochi chilometri poichè aspira qualsiasi oggetto amovibile. La tromba d'aria prende il nome di tornado negli Stati Uniti. Le trombe d’aria rappresentano il fenomeno meteorologico più violento che si può verificare nell’area mediterranea. Si tratta in pratica di un vortice ruotante in senso ciclonico (cioè antiorario) che ha origine e discende dalla base di un cumulonembo; spesso infatti le trombe d’aria si manifestano in concomitanza di temporali piuttosto violenti. Il tipico aspetto di una tromba d’aria è quello di una colonna nuvolosa, a forma di imbuto, che si protende fino al suolo, ove si allarga a forma di proboscide raggiungendo un diametro di 50-150 metri. Al centro del vortice la pressione raggiunge valori molto bassi; ed è proprio il dislivello barico tra il centro e la periferia del vortice, che è di circa 20-30 hPa, a risucchiare l’aria verso l’interno e a costringerla a girare intorno al centro di bassa pressione, con velocità prossime ai 100-150 km/h. Una tromba d’aria di solito ha un ciclo vitale che non supera i 30 minuti, nei quali percorre qualche decina di chilometri; i danni che provoca lungo il suo percorso non sono tanto causati dal dall’effetto del vento sugli ostacoli incontrati, quanto dalla forza d’urto dell’aria che viene risucchiata dalle zone circostanti verso il minimo al centro del vortice stesso. Le violenti correnti ascendenti all’interno del vortice proiettano inoltre verso l’alto gli oggetti ed i detriti risucchiati. Condizioni favorevoli all’innesco di una tromba d’aria sono quelle caratterizzate da un’elevata instabilità atmosferica che si sviluppa per esempio quando uno strato di aria fredda viene a trovarsi sovrapposto ad una massa d’aria molto calda e umida che staziona in prossimità del suolo. Quando l’equilibrio tra le due differenti masse d’aria si rompe, l’aria più calda viene bruscamente aspirata verso l’alto, richiamando aria dalle zone circostanti. Situazioni come quella appena descritta possono verificarsi in Valpadana nel periodo estivo, quando un flusso di aria fresca dal Nordeuropa va a sovrastare l’aria calda ed umida stagnate al suolo dopo un lungo periodo di bel tempo. In Italia le zone maggiormente colpite dal fenomeno delle trombe d’aria sono le aree pedemontane alpine, il Friuli, il Ponente Ligure, le coste dall’alta Toscana e del Lazio e la Sicilia orientale. La probabilità un dato luogo sia investito da una tromba d’aria è però molto bassa, sia per la rarità del fenomeno che per la ristretta area da esso interessata. |
Tromba marina | E' una tromba d'aria che si sposta sul mare o, comunque, su uno specchio d'acqua. La parte superiore della tromba marina ha velocità diversa dalla parte inferiore per cui il vortice d'aria finisce con l'inclinarsi e con lo spezzarsi ponendo fine al fenomeno. |
Troposfera | Parte più bassa dell'atmosfera compresa tra la superficie terrestre e i primi 16 km all'equatore e 11 km nelle regioni polari; alla sommità della troposfera vi è la tropopausa. La troposfera è caratterizzata dalla massima concentrazione dell'acqua in tutti gli stati di aggregazione (solido, liquido e vapore). La quasi totalità dei fenomeni meteorologici avvengono in questo strato dell'atmosfera. Nella troposfera la temperatura diminuisce con la quota. |
Turbolenza | Con questo termine si indica qualsiasi rimescolamento caotico dell'aria prodotto da vortici. La turbolenza può essere classificata in scale di grandezza dei vortici. In prossimità della superficie terrestre l'aria in movimento orizzontale, a causa dell'attrito con il suolo e tra i singoli strati d'aria, genera vortici dell'ordine di grandezza che va dal metro a centinaia di metri, che favoriscono il rimescolamento verticale. Le forti differenze di temperatura tra strati d'aria a contatto con il suolo e quelli più in quota genera, durante il giorno, bolle calde che salgono rimescolando l'aria in verticale. Si genera turbolenza anche in orizzontale quando due masse d'aria a velocità diverse entrano in contatto, come nei getti. Lo studio della turbolenza atmosferica è fondamentale in meteorologia in quanto il fenomeno è alla base delle variazioni del tempo meteorologico. |
Umidità | E' il vapore d'acqua contenuta nell'atmosfera. Può essere relativa, assoluta, specifica: • l'umidità relativa è data dal rapporto tra la quantità di vapor d'acqua presente in un metro cubo di aria libera e quella che dovrebbe contenere in condizioni di saturazione, espressa in percentuale. • l'umidità assoluta è il contenuto di vapor d'acqua espresso in g/m3 d'aria. • l'umidità specifica è il rapporto tra la densità di vapore e quella dell'aria che lo contiene. E' espressa in g/Kg. |
Uragano | Intensi cicloni tropicali (depressioni che si presentano tra l'equatore e i tropici ) nelle Indie Occidentali, nel golfo del Messico e nel Pacifico orientale. Essi portano intensi venti superiori ai 100 km/h e precipitazioni torrenziali. |
UTC Universal Time Coordinate | Vedi Zulu. |
Valanga | Massa di neve in rapido movimento lungo un pendio. |
Vapore acqueo | Acqua allo stato gassoso presente nell'atmosfera. La sua quantità nell'aria non può superare il limite di saturazione. |
vara | |
Variazione diurna dell'intensità del vento | L’intensità del vento al suolo è il risultato dell’azione combinata di diversi fattori. Entrano in gioco infatti variazioni molto rapide indotte dall’attrito con il suolo, ma anche variazioni più persistenti, legate alle differenze di pressione su vaste aree in corrispondenza del moto di cicloni ed anticicloni. Agiscono inoltre anche le circolazioni di brezza. Nel caso poi di moti convettivi o di venti forti, diventa importante l’effetto di rimescolamento degli strati superiori, in cui l’aria si muove più velocemente, con i bassi strati dell’atmosfera. Se per semplicità consideriamo il caso di cielo sereno o poco nuvoloso e ipotizziamo variazioni modeste della pressione atmosferica al suolo (cioè variazioni inferiori a 1 hPa ogni 3 ore), l’intensità del vento sulla terraferma, lontano dal mare e dai rilievi, segue un tipico andamento diurno molto simile a quello della temperatura, con un massimo nel primo pomeriggio ed un minimo all’alba. In prossimità di coste o di catene montuose si ha in aggiunta un altro massimo secondario nelle tarde ore notturne. Il massimo diurno è determinato in parte dalle circolazioni locali di brezza ed in parte dal trascinamento al suolo dei venti più intensi degli strati superiori per azione delle correnti discendenti dei moti convettivi. Il massimo secondario notturno è invece rilevabile solo nelle località dove agisce la brezza notturna, cioè appunto quelle sulle coste o in zone pedemontane. Il vento raggiunge in genere la minima intensità all’alba, quando il rafforzamento delle inversioni termiche da irraggiamento notturno ostacola sia le brezze che il rimescolamento con gli strati superiori. Durante l’inverno poi le brezze ed i moti convettivi risultano poco attivi sulla terraferma, di conseguenza i massimi diurni sono appena pronunciati. |
Vento | Si chiama vento qualsiasi spostamento orizzontale dell'aria. Il vento è caratterizzato da una direzione di provenienza e da una intensità. La direzione viene misurata con l' angolo tra la direzione di provenienza e il Nord geografico, contato in senso orario. Ad esempio un vento che proviene da est ha una direzione di 90°, da sud 180°, da ovest 270° e da nord 360°. L'intensità si misura come velocità di spostamento dell'aria in m/s o nodi o Km/h. Un nodo equivale a circa 1.8 Km/h o 0.5 m/s. In meteorologia il vento è sicuramente uno dei fenomeni più importanti assieme alla temperatura, alla pressione atmosferica ed all’umidità dell’aria. Ma cos’è il vento? E’ lo spostamento di una massa d’aria da una zona dove la pressione atmosferica è maggiore ad una dove è minore. E’ ovvio che la velocità di spostamento e quindi la velocità del vento sarà tanto più elevata quanto più rapida sarà la variazione orizzontale della pressione atmosferica, variazione detta "gradiente barico". Ma il "gradiente barico" fornisce solamente un’indicazione sulla velocità del vento. In realtà, il vento non si muove, come si potrebbe pensare, dalle alte verso le basse pressioni: non appena la massa d’aria si muove verso la bassa pressione, interviene la "forza di Coriolis" che è presente a causa della rotazione terrestre. Tale forza tende a deviare i venti verso destra nell’emisfero Nord, verso sinistra nell’emisfero Sud. Ciò fa sì che alle nostre latitudini i venti vengano deviati fino a portarsi in direzione parallela a quella delle isobare, inoltre la forza di Coriolis devia i venti facendo in modo che si lascino la bassa pressione sulla sinistra (legge di Buys-Ballot). E’ altresì importante ricordare che questa forza modifica solamente la direzione del vento e non la sua intensità. Particolare importanza riveste anche il modo in cui si misura l’intensità del vento. Nel sistema internazionale la misura dell’intensità del vento è espressa in metri al secondo. Nella navigazione aerea, in quella marittima e nei bollettini meteorologici la misura si effettua in nodi. Un nodo è l’equivalente di un miglio nautico all’ora, ovvero 1852 metri all’ora. Nei paesi di lingua inglese vi è inoltre una misura effettuata in miglia per ora, dove un miglio terrestre equivale a 1620 metri. Tutte queste misurazioni però, si effettuano tramite appositi strumenti; ma come fare in mancanza di tali supporti tecnici? Per ovviare al problema si è studiato un modo per stimare l’intensità del vento mediante gli effetti che esso ha sugli alberi, sul fumo o sulle superfici marine, codificandoli nella "Scala Beaufort". In tale scala, ad esempio, un vento di forza 3 si riconosce dal fatto che origina piccole onde le cui creste iniziano a rompersi sul mare, mentre agita le foglie ed i ramoscelli degli alberi a terra. Un’altra caratteristica che occorre specificare è la direzione di provenienza del vento, ciò è stato fatto tramite la "rosa dei venti". Si definiscono così la Tramontana proveniente dal Nord, il Grecale da Nord-est, il Levante da Est, lo Scirocco da Sud-est, il Mezzogiorno che spira da Sud, il Libeccio da Sud-ovest, il Ponente da Ovest, infine il Maestrale da Nord-ovest. |
Vento geostrofico | Il vento geostrofico è un particolare vento che si applica per le latitudini superiori ai 15° nord e sud. Questo vento si verifica perché le forze di Coriolis e di gradiente, alle quali sono sottoposte le masse d'aria, si equilibrano. Analizziamo meglio cosa succede. Le masse d'aria hanno la tendenza a spostarsi da una zona di alta ad una di bassa pressione perché sono sottoposta all'azione di una forza che viene chiamata forza del gradiente di pressione o forza di gradiente. Questo spostamento genera il vento. Tuttavia, se le masse fossero sottoposte solo a questa forza, sarebbero costrette a muoversi perpendicolarmente alle isobare (linee che congiungono i punti con lo stesso valore di pressione). In realtà, esiste un'altra forza (forza di Coriolis), legata alla rotazione terrestre, in grado di deviare le masse d'aria verso est (emisfero boreale) o verso ovest (emisfero australe) e diretta perpendicolarmente allo spostamento. Quando le forze di Coriolis e di gradiente si equilibrano, il vento geostrofico, essendo perpendicolare alla forza di Coriolis, si dispone parallelamente alle isobare. Più queste sono vicine, come nelle depressioni, più il vento è forte; al contrario, se le isobare sono distanziate, l'intensità del vento è debole. Supponiamo, però, che le isobare presentino una curvatura. In questo caso, non sono più sufficienti le due forze sopra spiegate, ma è necessario l'intervento di un'altra forza per raggiungere l'equilibrio: la forza centrifuga. Questa è la stessa forza a cui noi, ad esempio, siamo sottoposti quando andiamo in macchina e curviamo: la macchina gira a destra e noi siamo spinti a sinistra. Tornando al vento, se questa forza centrifuga agisce in senso opposto a quella di gradiente, per raggiungere l’equilibrio, è sufficiente una forza di Coriolis più piccola rispetto al caso in cui le isobare sono rettilinee e parallele. Questo caso si ha in presenza di una curvatura ciclonica delle isobare. Se, invece, la forza centrifuga si somma a quella di gradiente, necessariamente la forza di Coriolis dovrà essere maggiore rispetto al caso di isobare rettilinee e parallele. Tuttavia, più ci si avvicina al suolo, più la situazione si complica. Infatti, al suolo, le condizioni di equilibrio cambiano per l’influenza della forza di attrito. Poiché questa forza varia a secondo del tipo di superficie che il vento incontra, l’intensità e la direzione vengono modificate. Pertanto, nei bassi strati dell’atmosfera, le forza che entrano in gioco sono quattro: forza di gradiente, forza di Coriolis, forza centrifuga, forza d’attrito. |
Vento nello strato superficiale | Negli strati atmosferici più prossimi al suolo si riscontra un diverso comportamento del vento rispetto alle quote superiori. Nei primi 50-150 metri, infatti, l’aria non si può muovere liberamente; l’interazione con svariati tipi di ostacoli genera una forza di attrito che si oppone al moto tanto da rendere poco efficaci le due principali forze motrici dell’atmosfera: la forza dovuta al gradiente di pressione (che spinge l’aria dalle alte alle basse pressioni) e la forza deviante o di Coriolis (che, nell’emisfero nord, devia l’aria verso destra rispetto al moto nella direzione parallela alle isobare). L’attenuazione della prima delle due forze si traduce in una progressiva diminuzione dell’intensità del vento man mano che ci si avvicina al suolo, e questo a causa del sempre maggiore attrito; di fatto la variazione verticale della velocità del vento non è proporzionale alla quota ma segue una legge logaritmica, ossia il tasso di aumento con la quota tende a dimezzarsi raddoppiando la quota stessa. La rapidità di aumento di velocità con la quota dipende anche dalle dimensioni degli ostacoli al suolo: più il suolo è accidentato più rapida è la variazione verticale della velocità del vento. A tale scopo, nei calcoli, si utilizza un parametro chiamato "rugosità del suolo" che tiene conto proprio del tipo di ostacoli presenti a terra e assume un valore pari a circa 1/30 dell’altezza media degli ostacoli vicini: da 0,1 millimetri del mare aperto e calmo a 1 metro del centro di grandi città o foreste. L’attenuazione della seconda forza si evidenzia nel fatto che la direzione del vento risulta non più parallela alle isobare ma deviata in senso antiorario rispetto al vento nella libera atmosfera. Con venti deboli o moderati la deviazione è di 10-15° sul mare e 30-45° sulla terraferma ma con venti forti o atmosfera instabile l’angolo di deviazione si riduce notevolmente. La direzione che il vento assume in questi primi 50-150 metri di troposfera, a differenza dell’intensità, non subisce variazioni verticali, cosa che invece succede all’interno dello strato atmosferico immediatamente sovrastante. |
Visibilità | La visibilità orizzontale è definita come la distanza massima alla quale è visibile un oggetto in orizzontale di giorno. Si misura in metri o km. La definizione della visibilità notturna è diversa e legata all'uso di lampade standard. |
volontariato |
Zero termico | E’ la più bassa altitudine alla quale, nella libera atmosfera, la temperatura passa per il valore di 0°C. In montagna dal punto di vista pratico, è l’altitudine alla quale la temperatura media si aggira intorno agli 0°C. In caso di inversione termica, al di sopra di essa possono esistere uno o più livelli ai quali la temperatura passa ancora per il valore zero. |
ZONALE | |
Zulu | Nome internazionale della lettera zeta, usato nello spelling di nomi e sigle durante le comunicazioni tra piloti di aerei o marinai. In meteorologia indica l'ora riferita al meridiano di Greenwich, anche indicata con il termine UTC |