Studiare il ghiaccio per leggere l’evoluzione del clima del XX secolo. Per questo, nel ghiacciaio Adamello, a Pian di Neve, i ricercatori della Fondazione Edmund Mach e del Muse di Trento hanno prelevato una “carota” lunga 45 metri che sarà studiata dalle Università di Milano e Innsbruck.
Il progetto si chiama “Pollice” ed è finanziato dall’assessorato all’ambiente della Provincia di Trento. Obiettivo: conoscere il clima attraverso il ghiacciaio dell’Adamello, che si trova a a 3.100 metri di quota. Per questo – nel corso di una notte, a una temperatura inferiore a meno dieci gradi – è stata prelevata una “carota” di ghiaccio lunga 45 metri.
Di fatto si vuole analizzare la componente vegetale del ghiaccio e leggere l’evoluzione del clima del XX secolo nell’Adamello. All’analisi della componente biologica vegetale si affiancherà la ricostruzione della composizione chimica dell’atmosfera e la sua variazione nel tempo, anche alla luce delle emissioni antropiche intrappolate nelle precipitazioni nevose.
L’operazione è stata compiuta a Pian di Neve, sul ghiacciaio dell’Adamello, dai ricercatori Antonella Cristofori e Cristiano Vernesi della Fondazione Edmund Mach, Elena Bertoni del Muse di Trento, Daniela Festi dell’Università di Innsbruck e dai tecnici addetti alla perforazione: Marco Filippazzi e Stefano Banfi dell’Università di Milano Bicocca, Fabrizio Frascati e Saverio Panichi di Enea Brasimone, coordinati da Valter Maggi (anche lui dell’Università di Milano Bicocca).
La parola passa ora alle analisi che saranno svolte dalla Fondazione Edmund Mach e dalle Università di Innsbruck e Milano; mentre il Muse, forte di un’esperienza maturata a partire dal 2006 nell’analisi dei bilanci di massa dei ghiacciai trentini, elaborerà i dati glaciologici.
Il polline ritrovato potrà stabilire una cronologia stagionale e annuale del ghiaccio e fornire informazioni sulla composizione della vegetazione del passato. Oltre all’analisi della componente biologica vegetale, verranno ricostruite la composizione chimica dell’atmosfera e la sua variazione nel tempo, con particolare attenzione alle emissioni antropiche che raggiungono l’arco alpino e vengono intrappolate nelle precipitazioni nevose. Tra queste solfati, cloruri, nitrati, ma anche polveri carboniose provenienti dalla combustione di carburanti fossili e sostanze organiche emesse dalle attività industriali che caratterizzano le aree fortemente antropizzate (come la Pianura Padana) e che circondano il massiccio dell’Adamello.
Fonte: ilgiornaledellaprotezionecivile.it