Si sa come la Russia e altri Paesi nordici ormai da anni siano impegnati nell’estrazione intensiva di gas, petrolio e metalli preziosi nella delicata regione dell’artico. Ebbene, nella città di Norilsk (Siberia settentrionale), una delle più inquinate al mondo a causa delle massicce emissioni di anidride solforosa, sorge una centrale termo-elettrica. Qui, venerdì scorso, 29 maggio 2020, una grossa cisterna contenente gasolio è collassata, causando lo sversamento di almeno 20 mila tonnellate di combustibile nel fiume Ambarnaya e la contaminazione di un’area di 350 chilometri quadrati.
Secondo quanto ricostruito, i sostegni della cisterna avrebbero ceduto a causa del riscaldamento del terreno. In questa zona il suolo è normalmente ghiacciato, anche nella stagione estiva, grazie al fenomeno noto come permafrost. Ma i cambiamenti del clima e l’aumento delle temperature, che nell’artico viaggia a velocità doppie rispetto al resto del pianeta, stanno rendendo instabile lo strato di permafrost e di conseguenza mettendo in crisi tutte le costruzioni che vi si appoggiano tramite palificazioni.
Ma l’azienda che gestisce la centrale, la Ntek, ha taciuto per due giorni sull’incidente. Da ciò ne è conseguito un grave ritardo nella dichiarazione dello stato di emergenza da parte del governo russo e nell’inizio degli interventi di bonifica, che ha fatto si che il gasolio contaminasse anche un secondo fiume, il Pyasina, che sfocia nel mare di Kara.
Gli ambientalisti hanno denunciato come il disastro abbia già provocato la morte per soffocamento e/o avvelenamento di migliaia di pesci, uccelli e altri animali soliti vivere nell’area. Le immagini diffuse sui social sono impressionanti: la scia di gasolio colora di rosso il fiume Ambarnaya per circa 12 km dal luogo dell’incidente. Secondo il capo dell’agenzia per la tutela dell’ambiente russa, Svetlana Radionova, gli elementi inquinanti nel corso d’acqua sarebbero presenti in quantità 10 mila volte superiori a quelle consentite. I tecnici stanno ora tentando di fermare la scia con solventi e galleggianti di contenimento, non senza difficoltà a causa anche della particolare conformazione del fiume.
L’artico russo non è comunque nuovo a questo tipo di disastri. Nel 1994, nella repubblica di Komi, ci fu una fuoriuscita di petrolio da un oleodotto. Più di 94 mila tonnellate di greggio finirono nel fiume Pechora e giunsero fino al mare di Barents. Qualche mese dopo, con l’arrivo di piogge torrenziali, il petrolio si diffuse su un vastissimo territorio tra altri due fiumi. La bonifica richiese dieci anni di lavori.
Di seguito altri scatti di @ilya_torgonskyi.