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SCIOGLIMENTO DEI GHIACCI E VIRUS

All’inizio di quest’anno sono stati resi pubblici i risultati di un progetto di ricerca iniziato nel 2015 da un team di ricercatori statunitensi, i quali hanno analizzato il contenuto microbico delle carote di ghiaccio prelevate nell’area nord-occidentale dell’altopiano del Tibet. Perforando uno strato di ghiacciaio profondo circa 50 metri, i ricercatori hanno ottenuto due campioni, dalla cui analisi microbiologica è stato possibile identificare 33 gruppi di virus, 28 dei quali sconosciuti e di origine antica.

Non è quindi difficile immaginare verso quali rischi il riscaldamento globale, e il conseguente ritiro dei ghiacci, ci stia portando, specie con riguardo ai quei patogeni rimasti sepolti per secoli e a cui l’uomo moderno è completamente estraneo.

Il biologo Jean-Michel Claverie, professore emerito di Genomica e Bioinformatica all’università francese di Aix-Marseille, ha spiegato che il permafrost, ossia lo strato di terreno ghiacciato costituito da biomassa vegetale stratificatasi nel tempo, è l’ambiente ideale per la conservazione di batteri e virus, anche per milioni di anni, in quanto ghiacciato, privo di ossigeno e buio. In condizioni “normali”, ogni estate, all’interno del permafrost, si scioglie uno strato di circa mezzo metro di ghiaccio, che d’inverno poi torna a formarsi. In tempi di surriscaldamento globale – quale quello in atto – questo equilibrio viene meno: la copertura glaciale che si scioglie in estate è costantemente maggiore rispetto a quella che si ricrea in inverno. L’Artico, ogni decennio, ne perde quasi il 13%.

I più pensano che si tratti di un rischio improbabile, lontano, nello spazio, ma soprattutto nel tempo. Pensano sbagliato. Il rischio di riportare in vita il virus del vaiolo, responsabile di una malattia infettiva della piccola circolazione della cute, della bocca e della faringe, che presenta un tasso di mortalità del 30-35% e provoca peculiari cicatrici, è piuttosto concreto. Nei pressi delle rive del fiume Kolyma, nella Siberia nord-orientale, sono rimaste sepolte a lungo le vittime di un’epidemia di vaiolo che ha duramente colpito la regione negli anni Novanta del diciannovesimo secolo e che in alcuni paesi e villaggi ha portato alla morte del 40% della popolazione. Attualmente gli argini del fiume Kolyma sono sottoposti a disgelo ed erosione, circostanza che ha permesso ai ricercatori di rinvenire frammenti del Dna del virus all’interno dei cadaveri sepolti nel permafrost tra il 1700 e il 1800, che riportavano cicatrici riconducibili al vaiolo.

Finché tali virus e batteri, in grado di riattivarsi dopo un lungo sonno, restano nei laboratori, sono utili ai fini della ricerca. I problemi sorgono quando, a causa dello scioglimento del permafrost, contaminando le acque passano agli animali e si diffondono.

Un episodio del genere si è già verificato nell’estate del 2016, quando un focolaio di antrace nel nord della Siberia uccise un adolescente e un migliaio di renne, oltre a infettare decine di persone. Si ritiene che dietro a questo sgradito ritorno ci sia stata un’ondata di calore che sciolse lo strato superficiale di ghiaccio sotto il quale giacevano i resti delle renne uccise decenni prima dall’antrace. Una volta tornate alla luce le carcasse ancora infette, il batterio avrebbe contaminato il suolo e l’acqua, per passare prima agli animali e poi all’uomo. L’antrace è un’infezione batterica che può dare vita a focolai endemici tra gli erbivori – come periodicamente accade – e trasmettersi all’uomo per contatto diretto, ma anche per ingestione di cibo contaminato o per inalazione delle spore del batterio. Presenta un grado di letalità del 20% nella sua forma più comune, quella dermatologica, ma arriva ad uccidere nel 75% dei casi in quella gastrointestinale. Si pensi che a causa dell’antrace, nel periodo compreso tra il 1897 e il 1925, nella Russia artica, ha perso la vita circa un milione e mezzo di cervi a causa dell’antrace. Il fatto è che in quelle zone, essendo difficile scavare sepolture profonde a causa del terreno ghiacciato, spesso le carcasse vengono semplicemente coperte con la neve.