L’errato utilizzo dell’espressione “temperatura percepita”
Si sente spesso parlare, nei telegiornali, di temperature e temperature percepite, ad esempio: “Eccoci a Roma, abbiamo una temperatura reale e una percepita, rispettivamente, di 35° e 42°.” Ma cosa s’intende davvero con temperatura percepita??
L’utilizzo che viene fatto di tale espressione, senza specificazioni, come se questi fantomatici gradi percepiti avessero una validità assoluta, è contestabile principalmente per due ragioni:
– Anzitutto, da un punto di vista teorico, l’organismo umano avverte delle sensazioni di caldo o di freddo, ma non può certo percepire la temperatura.
– In secondo luogo, sempre da un punto di vista teorico, non esiste una «temperatura percepita vera»: il dato varia in ragione dell’indice utilizzato.
Gli indici bioclimatici
Numerosi studi di bioclimatologia sono stati finalizzati ad individuare, in base alle relazioni fra i valori della temperatura e dell’umidità atmosferica, il limite critico al di là del quale l’organismo non è più in situazione di benessere o comfort, al di là del quale comincia ad estrinsecarsi la sensazione dell’afa, pur con tempi e modalità assai differenti da soggetto a soggetto.
Per indicare le situazioni di caldo umido non esiste in italiano un preciso termine scientifico, a meno di non portare sul piano della scienza la parola “afa” o appunto l’espressione “calore afoso”. Naturalmente, sulla percezione del caldo afoso giocano anche altre grandezze meteorologiche; in linea di massima, è bene ricordare che il vento tende ad agire verso una riduzione del disagio (sempre che la temperatura non superi una certa soglia), mentre la radiazione solare in direzione opposta, poichè capace di incrementare gli apporti energetici verso il nostro corpo.
Molti studiosi hanno cercato di creare un indice che rappresentasse correttamente la sensazione di calore percepito dalle persone; oi ne citetrmo solo alcuni, i più importanti:
– L’indice di Thom (Discomfort Index, DI), che definisce il grado di stress termico; richiede le letture di bulbo secco e di bulbo umido.
– L’indice termo-igrometrico (THI) ideato sempre da Thom e che può sostituire senza apprezzabili variazioni il DI, fornisce l’indicazione di quella temperatura che, in stato di saturazione (U = 100%), dovrebbe indurre sull’organismo umano la stessa sollecitazione prodotta dai valori reali di temperatura e di umidità. Rapportandosi al valore massimo dell’umidità, l’indice fornisce, in pratica, numeri sempre inferiori a quelli della temperatura dell’aria, creando forse qualche difficoltà di interpretazione da parte della maggioranza degli individui. Ad esempio, 32° con il 30% di umidità determinano un THI di circa 25°; ciò significa che la sensazione di caldo che stiamo avvertendo corrisponde a quella prodotta da T = 25° e U = 100%.
– Infine, l’indice SSI – Summer Simmer Index, elaborato dall’americano John W. Pepi con lo scopo di ottenere un indicatore che facesse riferimento non ad un ambiente umido, come gli indici di Thom, ma ad uno arido. Secondo l’autore in questo modo si estrapolerebbero valori dell’indice quasi sempre superiori alla temperatura reale dell’aria, favorendone l’accettazione da parte dell’opinione pubblica. L’equazione è stata calcolata scegliendo come riferimento un’umidità del 10%, al di sopra della quale si ottengono risultati via via maggiori rispetto al dato della temperatura.
Per concludere, è bene, ogni volta che ci vengono forniti dati sulla temperatura percepita, cercare di comprendere in che modo questi siano stati calcolati, e non prenderli come oro colato. I risultati, ovviamente, come già spiegato poco sopra, saranno diversi in base all’indice utilizzato.